Torna in discussione al Parlamento europeo nella giornata di domani, 12 settembre, la legge sul copyright e Lo Speciale ha deciso di ascoltare il parere di una giornalista, scrittrice ed editor molto influente ed esperta di contro informazione. Si tratta di Enrica Perucchietti che ha al suo attivo numerose pubblicazioni inerenti proprio il tema delle fake news e delle manipolazioni nel mondo della comunicazione, oltre a saggi di natura geopolitica e studi sull’esoterismo. Abbiamo cercato con lei di capire quanto realmente questa direttiva Ue rischi di compromettere il diritto di fare contro informazione in rete, limitando la libertà di pensiero e di espressione, in favore di un’unica narrazione adeguatamente pilotata dai canali ufficiali del potere. Due i punti controversi della direttiva: l’articolo 11 che, a detta della rete, costringerebbe chiunque utilizzi snippet di contenuti giornalistici online ad ottenere una licenza dall’editore, e l’articolo 13 che invece obbligherebbe le piattaforme digitali a filtrare i contenuti pubblicati dagli utenti.
Questa legge è davvero così pericolosa come molti sostengono?
“C’è un aspetto che credo meriti di essere evidenziato. Se infatti fino a luglio le grida d’allarme giunte da più parti avevano permesso di rinviare la discussione, oggi la narrazione principale che circola sui media cosiddetti ufficiali, è orientata verso l’approvazione di questa legge. Si vuole far credere che alla fine a volerla sono tutti, editori grandi e piccoli oltre che i cittadini. Questa è una banalità assoluta e basterebbe andare ad intervistare l’uomo della strada per rendersi conto di come questo non sappia nemmeno cosa domani si discuterà a Strasburgo”.
E’ vero che con l’approvazione di questa direttiva si rischierà di non poter più fare contro informazione?
“Secondo me si tratta di un ulteriore tassello inserito all’interno di una battaglia molto più ampia, mirata ad imporre una sorta di censura, e che si è già manifestata per altro con l’allarme lanciato mesi fa sulle fake news. In realtà si starebbe cercando, con una forte accelerazione registrata soprattutto negli ultimi due anni, di bloccare l’informazione alternativa. Ci sono state infatti delle situazioni che sono completamente sfuggite alle maglie del potere; è avvenuto con la Brexit, è avvenuto con Trump, è avvenuto in Italia con la sconfitta al referendum costituzionale e alle elezioni del 4 marzo scorso. Ma è un dato di fatto che se esiste oggi un certo tipo di informazione, questa può vivere soltanto grazie alla rete. Vedo un tentativo di restringere sempre di più le maglie del web per arrivare infine all’introduzione di un vero e proprio reato di opinione”.
Siamo a questo punto?
“Temo di sì, c’è la forte volontà di impedire la deviazione dal pensiero unico, dal politicamente corretto e dai dogmi propagandati dai grandi media ufficiali. Una sorta di psico-reato”.
Ma ci sono soltanto ragioni elettorali dietro questa strategia, soltanto il tentativo di fermare l’ascesa dei cosiddetti populisti?
“La questione elettorale è soltanto un aspetto, penso si punti ad un massiccio controllo sociale. Controllo che avviene da un lato con la sorveglianza tecnologica, come dimostra il precedente di Cambridge Analytica, e dall’altro attraverso la propaganda. Questa per avere successo deve assoggettare l’opinione pubblica ad un pensiero unico. Il fatto che la cosiddetta contro informazione sia riuscita a creare questa roccaforte sul web, favorisce non soltanto l’ascesa dei populismi, ma impedisce anche l’affermazione di un’unica verità su tanti temi sociali. vedi su tutti la battaglia contro l’ideologia gender che si è combattuta grazie ai social. Poi ci sono le questioni economiche, quelle più strettamente legate alla salute. Alla fine sono tanti gli aspetti che stanno a dimostrare come da parte di certe lobby vi sia interesse a spingere perché si verifichi una stretta sulla libera circolazione delle idee e delle opinioni. Lo psico reato, che a mio giudizio si vorrebbe introdurre, non è soltanto un punto di vista politico ma soprattutto sociale, culturale e antropologico, per uniformare sempre di più l’informazione ed impedire che i cittadini possano formarsi una coscienza diversa e autonoma”.
Cosa si sente di dire ai parlamentari europei che domani saranno chiamati a votare la direttiva?
“Di votare secondo coscienza e senza pressioni o condizionamenti da parte di nessuno. Ma non so quanto possa servire realmente questo appello”.
Si ha come la sensazione che i partiti definiti sprezzantemente populisti, quelli cioè che finora hanno avuto tutto da guadagnare dalla libera informazione sul web, siano assenti. Come mai da parte loro non c’è una percezione profonda verso quella che sembra invece una battaglia di libertà che dovrebbe spingerli in prima linea?
“Ho sentito le esternazioni del ministro Di Maio contro questa legge, ha denunciato il rischio di censura e si è detto pronto a fermarla. Vedremo cosa saranno in grado di fare. E’ ovvio che i populisti e sovranisti in questa fase di interregno, almeno fino a quando non si assesteranno le cose, sono stati e saranno privilegiati dalla libertà del web. Quando però le cose si saranno assestate sarà fondamentale capire quali forze realmente agiscono dietro certi movimenti, visto che a mio giudizio non esistono partiti completamente liberi in politica. Semmai ne possono esistere alcuni più liberi di altri, ma nessuno penso sia libero fino in fondo. Ognuno di loro deve comunque rispondere a qualcuno. Capiremo finalmente quanti di questi si muovono con una certa autonomia e quanti invece sono stati utilizzati da determinate lobby per portare avanti particolari interessi. Ma questo si capirà più avanti, strada facendo”.