Proseguono le indagini sul barbaro omicidio di Carol Maltesi, la donna di 26 anni uccisa e fatta a pezzi dal vicino di casa, Davide Fontana, che messo alle strette dagli inquirenti ha confessato. Fontana aveva avuto una relazione con la donna, che negli ultimi tempi aveva intrapreso la carriera di attrice hard. Il corpo sezionato della donna è stato ritrovato dentro dei sacchi neri gettati in una discarica abusiva a Borno in Val Camonica. L’uomo ha sostenuto la tesi di un gioco erotico finito male. Avrebbe ucciso Carol a martellate dopo aver perso la testa, poi nascosto il corpo in un congelatore in casa della vittima, per poi decidere di fare a pezzi il cadavere, dividerlo in quattro sacchi neri e gettarli in un sito in mezzo a tanti altri, in modo da passare inosservati. L’omicidio sarebbe avvenuto a gennaio, ma l’uomo utilizzando il cellulare della donna avrebbe continuato ad inviare messaggi a parenti e amici spacciandosi per la vittima e rassicurando tutti di stare bene. Sulla vicenda poi è divampata una polemica legata all’attività che Carol svolgeva. I media la stanno presentando da giorni come “la pornostar uccisa” e molti hanno letto dietro questo continuo riferimento ad una professione certamente discutibile, quasi un’ attenuante a quanto avvenuto, Abbiamo intervistato sul caso la criminologa Roberta Bruzzone.
La convince il racconto di Fontana? L’omicidio è stato davvero consumato con le modalità da lui riferite?
“La dinamica non mi convince affatto, non credo alla storia del gioco erotico finito male. Credo ci sia un movente ben preciso dietro questo delitto”.
Cioè?
“Inizialmente ho pensato ad un movente di natura economica, ora prende quota il movente passionale ovvero la decisione della ragazza di lasciare l’Italia e tornare all’estero dal figlio abbandonandolo definitivamente”.
Quindi non ritiene veritiero nemmeno il racconto delle martellate e tutto il resto?
“Questo è credibile, ma ce lo diranno le indagini e gli esami sui resti della vittima. E’ verosimile la modalità di esecuzione, ciò che non è realistico è invece il movente. Non sta in piedi a mio giudizio quello che ha raccontato, ovvero la tesi del gioco erotico, durante il quale avrebbe perso misteriosamente la testa continuando a colpirla con violenza fino ad ucciderla. Poi sarà l’autopsia a stabilire se il modo in cui ha detto di aver ucciso la povera Carol è realistico o meno. Anche se il corpo è degradato sarà comunque facile scoprire se ci sono traumi da corpo contundente o ferite di arma da taglio”.
Come possiamo definire il reo confesso? Uno che dopo aver commesso l’omicidio nasconde il cadavere nel congelatore in casa della vittima continuando la vita di sempre, spacciandosi per Carol nelle chat con amici e parenti, facendo poi a pezzi il cadavere e gettandolo in un luogo scelto con tanto di sopralluogo? Insomma, chi è questa persona?
“Direi che siamo in presenza di un soggetto che ha fatto di tutto per farla franca. Ha fatto tutto ciò che gli era possibile fare per ritardare la scomparsa della ragazza, per fare in modo che nessuno la cercasse, spacciandosi per lei per circa due mesi e nascondendo il cadavere. Una persona estremamente lucida, razionale e direi anche incredibilmente precisa. Lo dimostra il fatto che per due mesi è riuscito abilmente a far credere che Carol fosse viva, a non far sospettare nulla. Una lucidità impressionante e tenga conto che avrebbe anche potuto restare impunito”.
Perché?
“Perché se nel gettare i sacchi in mezzo alla spazzatura uno di questi non si fosse rotto lasciando fuoriuscire una mano, probabilmente nessuno si sarebbe accorto che dentro c’era un corpo sezionato, o chissà quanto tempo sarebbe trascorso prima della scoperta. Invece una persona, andata lì proprio per fotografare la discarica abusiva e denunciare il degrado dell’area, si è incuriosito aprendo il sacco e scoprendo il cadavere. Se il passante non avesse notato quella mano chi avrebbe mai aperto i sacchi?”.
E’ credibile la tesi del sopralluogo?
“Credo che lui conoscesse la zona, anche se non in modo approfondito. E’ plausibile che vi abbia fatto prima un sopralluogo vedendo che c’erano già altri voluminosi sacchi della spazzatura abbandonati e giungendo alla conclusione che quello poteva essere il posto ideale per disfarsi del cadavere”.
Il fatto che Fontana sia andato dai carabinieri dopo aver appreso del ritrovamente del corpo denunciando la scomparsa della donna e fornendo agli inquirenti elementi sospetti, quanto gli è stato alla fine fatale?
“Quando ha capito che il suo piano non era andato come sperava, ha cercato di giocare d’anticipo, forse convinto che una volta identificata la donna sarebbero potuti risalire a lui. Si è presentato ai Carabinieri con il chiaro intento di scagionarsi e di dare una spiegazione plausibile al fatto che l’auto della vittima era in suo possesso. Un chiaro tentativo di sviare le indagini da lui. Certamente è stato un passo falso, visto che nel riferire certi particolari ignorava che fossero in contraddizione con gli elementi investigativi in mano agli inquirenti. Non è stato difficile per i carabinieri capire che stava mentendo”.
C’è una polemica in queste ore legata al fatto che i media stanno etichettando la vittima come “pornostar”. C’è chi ci vede un tentativo di delegittimazione della donna o addirittura una sorta di attenuante per il presunto assassino, che pur avendo confessato l’omicidio viene chiamato il “vicino di casa” e non appunto “l’assassino”. Cosa pensa al riguardo?
“Il messaggio che si sta cercando di far passare è devastante. Il fatto che la vittima facesse la pornostar sembrerebbe quasi avvalorare l’idea che in fondo una fine del genere fosse da prevedere. Siamo sempre al vecchio e abusato stereotipo che porta a dire che ‘ in fondo se l’è cercata’. Ogni volta che una donna subisce reati violenti, soprattutto a sfondo sessuale, chissà perché si finisce sempre con il cercare pretesti per colpevolizzare la vittima, come se alla base è sempre lei a provocare il tutto. Si tenta sempre di individuare una corresponsabilità fra vittima e carnefice. Il modo in cui si sta raccontando questa vicenda lo definirei vergognoso”.
Cosa la indigna di più?
“Identificare Carol morbosamente come pornostar porta ad inserirla all’interno di un ambiente comunque degradato. Un po’ come dire che chi svolge certe attività si espone volontariamente a questo genere di rischio. Mi sembra molto subdolo ragionare così. Che la vittima si dedicasse al porno e lo facesse in maniera volontaria nessuno lo mette in dubbio, ma una volta appurato il tipo di attività che svolgeva, questo non c’entra assolutamente nulla con il tipo di brutalità che ha subito. Insistere con il definire la vittima ‘la pornostar uccisa’ invece di chiamarla con il proprio nome, rischia di far passare un messaggio sbagliato. Siamo di fronte ad un becero sessismo, uno stereotipo di genere che porta sempre a considerare la donna colpevole delle violenze sessuali che subisce. In questo caso si mette in risalto la professione, in altre vicende magari ci si sofferma sul vestito troppo provocante, sul fatto che avesse bevuto o si trovasse in un determinato luogo a quell’ora del giorno o della notte”.
Anche i media quindi hanno responsabilità nel tenere in piedi questo tipo di narrazione?
“Mettere in evidenza in maniera tanto morbosa che la vittima fosse una pornostar agevola la diffusione di un messaggio altamente disfunzionale. Invece di concentrarci sull’atrocità del delitto, si rischia di spostare l’attenzione sullo stile di vita della ragazza, concludendo che la sua tragica fine in fondo è conseguenza del degrado in cui era inserita”.