Divampa la polemica sulla decisione di ridurre i controlli della Corte dei Conti sulle spese del Piano di Ripresa e Resilienza. Le opposizioni di sinistra, Pd ed M5S, sembrano ripetere il mantra tradizionale, ovvero che in questo modo la maggioranza di governo vuole fare un regalo corrotti e mafiosi, mentre al centro sia Italia Viva che Azione sono favorevoli alla proposta che consentirebbe di evitare intralci allo svolgimento degli interventi, delegando semmai gli organi preposti al controllo finale. Ma soprattutto, questi soldi saranno spesi davvero bene, ovvero sulle reali necessità del Paese? Sulla questione e sulla gestione complessiva del Pnrr abbiamo intervistato il parlamentare europeo della Lega ed economista Antonio Maria Rinaldi che in verità non ha mai nascosto le sue perplessità.
A che punto siamo sulla questione del Pnrr? Arrivano questi soldi e soprattutto saranno davvero utili alla nostra economia?
“Premetto che ho sempre nutrito enormi perplessità su tutta l’impostazione del Next Generation EU di cui il Recovery Fund è la colonna portante, visto che per il mio gruppo parlamentare sono stato anche relatore della materia in Commissione Econ. Perplessità fondata soprattutto su un punto. In un momento di grave difficoltà economica causata dagli effetti nefasti della pandemia, la Commissione europea ha ideato uno strumento che poco aveva a che fare con le effettive esigenze sanitarie. Si è voluta introdurre invece in modo forzato una condizionalità molto marcata sulla transazione digitale e green che ha di fatto comportato grosse difficoltà per i percettori dei finanziamenti”.
Sta dicendo che abbiamo accettato delle condizioni capestro?
“Tenga conto che di tutti i Paesi che avrebbero potuto beneficiare dei finanziamenti, solo l’Italia ha fatto richiesta tramite il proprio Pnrr di ingenti somme. Paesi come la Germania, la Francia, la Spagna, il Belgio, non hanno chiesto nemmeno un centesimo e questo già la dica lunga sulla bontà di questo impianto di finanziamento. Temo che quella del Pnrr sia stata tutta un’operazione mediatica e di marketing del governo Conte 2. Ricordate quando l’ex premier tornò da Bruxelles sbandierando di essere riuscito ad ottenere 209 miliardi di euro? In realtà era riuscito soltanto ad ottenere la disponibilità fino a quella somma, dietro condizioni che si stanno rivelando molto difficili da rispettare. Questa storia di Conte che è riuscito ad ottenere la possibilità di poter utilizzare quei fondi deve essere sfatata, perché in Europa il modus operandi è chiaro ed è fondato su chiavi di riparto legate a determinate procedure: in questo caso si è adottata la procedura legata al numero della popolazione e alla caduta del Pil, e siccome l’Italia ha avuto una caduta del Pil superiore a quella di qualsiasi altro Paese, ha avuto naturalmente la possibilità di poter chiedere di più. Ma non perché la pochette di Conte era più bella di quella degli altri capi di governo”.
Ma conviene avere questi soldi con le condizioni imposte?
“All’epoca della pandemia c’erano tassi prossimi allo zero. Altri Paesi hanno preferito non sottoporsi alle condizionalità previste, ovvero la svolta digitale e quella green, e hanno scelto di indebitarsi in maniera autonoma con emissione di debito pubblico diretto, invece di prendere soldi con l’intermediazione della Commissione europea. La quale, inutile ricordarlo, non ha un bilancio autonomo ma si è dovuta indebitare sul mercato attraverso l’emissione di bond che dovranno essere rimborsati sia in termini di capitali che di interessi. Poi bisognerà restituire anche i cosiddetti prestiti a fondo perduto con risorse proprie, il che tradotto vuol dire sostanzialmente tasse più alte e nuove tasse, e questo sempre perché la Commissione europea non è dotata di un bilancio autonomo”.
Il governo Meloni come sta gestendo la pratica?
“Sta agendo benissimo, perché sta verificando la fattibilità concreta dei progetti che sono stati presentati e capire se ci sarà un ritorno effettivo. Qualora non dovesse esserci, meglio non utilizzare prestiti che poi saremo chiamati a restituire”.
E per ciò che riguarda invece la polemica di queste ore legata ai controlli della Corte dei Conti?
“Negli altri Paesi non è previsto un controllo come quello che interpretiamo in Italia. Io non sono un giurista, ma ho sentito persone qualificate ed autorevoli come Sabino Cassese appoggiare la posizione di chi anche dall’opposizione, vedi Renzi e Calenda, sostiene che i controlli si devono fare alla fine, e non preventivamente o in corso d’opera rischiando di bloccare gli interventi. E’ chiaro che c’è una parte di opposizione, mi riferisco al Pd e ai 5Stelle che essendo completamente a corto di idee boccia ogni proposta a priori, senza entrare nel merito della questione. Ma resta un principio di fondo”.
Ossia?
“Se effettivamente c’è una convenienza va bene prendere questi soldi, ma se non ci sono i presupposti meglio non indebitarsi a certe condizioni. Non dimentichiamo che si tratterebbe per giunta di un prestito privilegiato che avrebbe la precedenza su tutti gli altri, quindi da restituire in maniera altrettanto privilegiata, cosa che nessuno dice”.
Per altro si parla di progetti faraonici, ma poi ogni volta che c’è un’alluvione il territorio frana o si allaga dimostrando di essere morfologicamente debole. Non sarebbe il caso di investire sulle reali emergenze e necessità del territorio invece che su progetti che sanno tanto di svolta ideologica?
“Questo è un altro punto estremamente sensibile che non è compreso da molti. Nelle condizioni inserite nel regolamento del Recovery non sono previste manutenzioni delle opere effettuate, onere che deve essere a carico delle amministrazioni. Sappiamo benissimo che quello delle manutenzioni è un grosso problema che negli anni costa moltissimo. Rischiamo quindi di realizzare delle cattedrali nel deserto destinate poi ad essere lasciate alle ortiche. Questo è un altro aspetto negativo del Recovery, ovvero non aver previsto anche una dotazione legata alla manutenzione delle opere”.