Noi non siamo come James Bond: realtà e finzione al confine di sé

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“Noi non siamo come James Bond” narra principalmente di un’amicizia profonda, il tipo di amicizia che tutti vorremmo avere, tanto da provarne quasi una sana “invidia”.
L’idea del film  prende forma già nel lontano 1985 quando in vacanza a Reykjavik, i due protagonisti Mario Balsamo (autore e regista del film) e il suo amico Guido Gabrielli, realizzano nitidamente che la loro vita non avrebbe  mai eguagliato quella del loro mito assoluto: James Bond.
La loro inadeguatezza alle cose del mondo si scontra inesorabilmente contro l’impeccabile disinvoltura incarnata da Sean Connery. Decidono così di contattarlo per interrogarlo sull’immortalità. Parte così, a bordo di una Mini d’epoca e dentro a degli smoking a noleggio il viaggio alla ricerca del Santo Graal/James Bond.
Nel mezzo la malattia: entrambi guariti da due tumori si trovano a ricomporre le loro vite e a porsi domande. Significativa la scena in campagna in cui Mario dice a Franco:”perchè la malattia ha colpito proprio noi?” e lui risponde: ” Dovremmo chiederci perchè proprio noi siamo guariti.” Franco considera la malattia un fattore prettamente spirituale, che “tocca” persone particolari. Così consiglia a chi si trova ad affrontare una malattia di comportarsi in maniera particolare anch’essi, accogliendo la malattia non combattendola. Questa ci viene mostrata da entrambi i protagonisti con intimistico coraggio e sincerità.  Lo scorrere della pellicola ci costringe ad interrogarci sul labile confine fra realtà e finzione, tanto che in  un’altra scena Guido si rivolgera al regista/Mario dicendo: “tu confondi la finzione con la realta è questa la differenza fra me e te.” Infatti viene da chiedersi: é la malattia ad entrare nel filmico o è il filmico che ci si nutre? La risposta a mio avviso pare darcela Mario. “Avevo bisogno di rempire uno spazio vuoto e ora che il film sta per finire ho paura“.
Un pregio del film è quello di aver narrato un dramma contemporaneo senza scadere nella retorica da “televisione del dolore”dove la malattia viene spetacolarizzata in modo osceno. Quest’opera sembra invece fare proprio l’operazione opposta, riabilitando nella loro dignità i corpi malati. Ma è l’ironia che pervade l’intero film, la cosa migliore. Si ride molto, grazie all’intesa complice e profonda dei due amici-pazienti.
Il film si avvale di un ottima scrittura, esaltata da un montaggio attentamente ritmato. La  musica di Teho Teardo, punteggia l’opera e la veste come un guanto. Infine da segnalare l’arrangiamento di Monty Norman composto da Guido, una vera chicca, come il tributo musicale finale che dedica a Mario. Chissà poi se riusciranno a parlare con il loro eroe….

Vittorio Zenardi

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