Gli ammiratori del cinema italiano degli anni ottanta di certo non possono dimenticare “La famiglia”, film di Ettore Scola presentato nel 1987.
L’opera ricevette molti riconoscimenti e un grande consenso da parte della critica. Scola racconta le vicende di una famiglia borghese a partire dagli inizi del novecento attraverso il succedersi delle sue generazioni e il vissuto quotidiano dei suoi componenti.
La narrazione si svolge nell’arco di ottant’anni descrivendo le vicende esistenziali dei personaggi all’interno di un appartamento romano.
Per il regista la realtà familiare è un microcosmo che racchiude e custodisce valori, legami ed affetti ma nello stesso tempo è anche il luogo nel quale possono nascere, nel tempo, ipocrisia, sfiducia, rancori.
I ruoli sono quelli tradizionali e ben definiti tipici di una famiglia formata in un primo momento da un suo piccolo nucleo ma poi costituita, con lo scorrere del tempo, da figli e nipoti a rappresentarne la continuità.
Vivere in famiglia produce un senso di sicurezza e di stabilità ma talvolta genera incomprensioni che condizionano gli individui per il resto della loro esistenza.
Un padre e un figlio, ad esempio, possono scoprire avanti negli anni di non conoscersi affatto e continuare a comportarsi come due perfetti sconosciuti.
E’ proprio quello che Ettore Scola fa accadere ai protagonisti di “Che ora è”, altra sua pellicola del 1989: padre e figlio, interpretati rispettivamente da Marcello Mastroianni e da Massimo Troisi, sono accomunati da una parentela che è solo anagrafica perché di fatto sembrano due estranei che non sanno praticamente nulla l’uno dell’altro.
Questo particolare punto di vista di Scola sulla possibile indifferenza nei rapporti familiari per alcuni aspetti può avvicinarsi al concetto di famiglia presente nella cinematografia di Ferzan Ozpeteck.
Basta ricordare “Le fate ignoranti”, film nel quale il regista turco mostra come una famiglia può anche essere un gruppo di amici legati tra di loro semplicemente dall’affetto, dalla condivisione, dal senso di comunità.
In questo caso il legame di amicizia è molto più forte del vincolo di parentela tra i componenti di una famiglia. Secondo Ettore Scola il legame di sangue è in grado di far riscoprire l’affetto familiare anche dopo molti anni di indifferenza.
Vittorio Gassman è Carlo, protagonista e narratore ne “La famiglia” che impara a stimare il fratello solo in vecchiaia scoprendo quelle qualità e quei pregi che fino a quel momento aveva trascurato di vedere. Nel film le vicende di Carlo e degli altri personaggi si svolgono essenzialmente all’interno della loro casa, spazio simbolico della vita familiare.
Non ci sono riprese all’esterno, la famiglia è come un piccolo mondo che vive in modo autonomo e che è indifferente rispetto a ciò che accade fuori.
Contrariamente agli altri personaggi che quotidianamente escono e rientrano nell’appartamento, Carlo vi resta sempre come per difendersi dall’esterno.
La famiglia è un luogo che “protegge” dalla Storia, da ciò che accade fuori, e che per questo motivo vive di un proprio tempo interiore. Scola, dunque, racconta il susseguirsi delle generazioni all’interno di una grande famiglia.
Come dice Gian Piero Brunetta, “il suo è un percorso che aspira alla circolarità e alla continuità più che alle rotture e che, partendo da situazioni molto comuni, progressivamente, grazie quasi ad un gioco di specchi o di obbiettivi a profondità variabile, entra nelle dimensioni della memoria, della fantasia, dell’immaginazione, del sogno”.
Margherita Villa