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A lezione da David Lynch

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Il Lucca Film Festival cala l’asso con la lezione/conversazione di cinema del visionario David Lynch.
L’eclettico artista  ha risposto con precisione e simpatia alle domande di un numeroso pubblico, entusiasta di avere una possibilità davvero unica.
Come avevamo accennato nel nostro articolo  si sono registrate alcune defezioni nell’afflusso alla splendida Chiesa di San Francesco che ha ospitato l’evento, che ricordiamo era completamente gratuito.
Lynch inizia la conversazione rispondendo alla domanda del presidente del Festival Nicola Borrelli  circa le influenze e le ispirazioni che hanno condizionato e caratterizzato la sua arte:

Innanzitutto devo dire che c’è differenza tra influenza e ispirazione..da giovane non ero un’appassionato di cinema e quando ero pittore non ero interessato alla storia dell’arte.
Mi piace farmi venire idee, mi sembra che vengano dal mondo, e queste idee entrano nella mente cosciente e si svelano, si vedono, si sentono, e se te ne innamori non ha importanza con quale  media vengono realizzate.
Io dico sempre che la città di Philadelphia è stata la mia più grande influenza, l’umore di quella città quando ci stavo, la sensazione nell’aria, l’architettura, l’insanità, la corruzione e la paura che notavo in quella città, insieme alle cose che ho visto e che ho sentito hanno fatto una grande impressione su di me, quindi posso dire che questa è stata la mia più grande influenza.”

Lynch che è anche un eccellente fotografo, designer e musicista, ha frequentato l’ Accademia delle  belle arti di Philadelphia che in questi giorni ospita una sua mostra dal titolo “Campi unificati“.
Proprio la sua visione pittorica lo stimolerà e lo indirizzerà verso  la settima arte:

Quando ero giovane volevo solo fare il pittore,  una volta stavo dipingendo e vidi il mio quadro muoversi.
Sentii il rumore del vento che veniva da questo quadro e pensai: “ho un quadro che si muove….”
Questo portò al mio primo film, un film in stop motion che durava circa un minuto, costituito da sei uomini che si ammalano.
Io vedo il cinema come appunto un quadro in movimento accompagnato dal suono. Il cinema è suono e movimento che si muovono contemporaneamente

Più volte nel corso della conversazione il regista statunitense ha posto l’accento sull’importanza di avere delle idee ispiratrici:

quello di cui abbiamo bisogno sono solo idee, questo è l’unica cosa di cui veramente abbiamo bisogno.
Per me non é importante pensare alla professione, ai soldi o a quello che succederà una volta terminato il film, la prima cosa di cui si ho bisogno è un’idea di cui ci m’innamoro.
Un’idea che ti parla, che ti dice l’umore e  i personaggi, come parlano, come si esprimono, ti dice la storia e ti da tutti i dettagli .
Tutto ciò che bisogna fare è rimanere fedeli a questa idea mentre giri il tuo film, rimanere fedele all’idea e ad ogni dettaglio.
Non bisogna finire di lavorare su qualsiasi cosa se non si sente che è perfetta.
Anche con pochi soldi si può trovare il modo di realizzare le cose, quindi bisogna rimanere fedeli a questa idea, non lasciar perdere mai le buone idee e non prendere mai le cattive.”

Aggiungendo:

un’altra cosa fondamentale é tenere sempre il final cut, non si può  parlare di libertà creativa se non si ha l’ultima parola.
Un’opera senza la libertà creativa non ha senso.

A questo riguardo parla della difficile situazione creatasi per la realizzazione di “Dune“:

Sono dovuto scendere a compromessi con il produttore Dino  De Laurentis che mi impose per motivi commerciali una durata di 137’ minuti.
Ne è uscita un’opera complessa che non riconosco mia, avevo tantissimo materiale girato che avrebbe avuto bisogno di una durata maggiore.
In compenso Dino mi ha insegnato a cucinare i Rigatoni che è ancora oggi l’unica cosa che cucino.

Poi passa a parlare della sceneggiatura di Inland Empire:

“C’è un enorme differenza tra la  sceneggiatura e il film, la stessa che passa tra il progetto di una casa e la  casa.
Per Inland Empire avevo un’idea solo per un’unica scena, poi mi sono venute idee per la seconda e terza scena ma non erano assolutamente collegate tra di loro.
Solo dopo la  quarta le scene incominciarono a codificarsi e avere un senso unitario, a questo punto iniziai a scrivere la sceneggiatura che poi ho realizzato con una piccola macchina da presa digitale.

L’interessante lezione si conclude con una ruffiana risposta di Lynch che alla domanda su cosa fosse per lui la bellezza eterna risponde:
“La donna…”

Vittorio Zenardi 

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