L’ultimo monitoraggio del Fondo per lo sviluppo e la coesione, evidenzia in modo inequivocabile la difficoltà della Pubblica amministrazione nella progettazione e gestione delle gare, soprattutto per quanto riguarda la quota riservata ai Patti per il Sud.
L’Fsc è il fondo nazionale che, insieme ai fondi europei, deve garantire risorse finanziarie aggiuntive per obiettivi di riequilibrio economico e sociale, con una quota minima di utilizzo dell’80% a favore del Mezzogiorno. A differenza dei fondi Ue, però, non è sottoposto a un vincolo di disimpegno automatico che imponga il rispetto dei tempi di spesa.
La Ragioneria dello Stato, nel suo monitoraggio aggiornato al 31 ottobre 2018, traccia pagamenti per appena l’1,5% delle risorse programmate (492 milioni su 32,1 miliardi). Per la sottosezione rappresentata dai Patti per lo Sviluppo siamo all’1,9% (276,6 milioni su 14,3 miliardi programmati).
Tra risorse ripartite dal Cipe per diverse aree tematiche e risorse ancora da assegnare/programmare, la dotazione totale per l’Fsc del periodo 2014-2020 è di 59,8 miliardi.
Oggi la percentuale di spesa sul programmato evidenzia una situazione di allarme anche se altri indicatori, riferiti ai lavori in affidamento (14%) o in corso di esecuzione (22%), sono meno preoccupanti.
I progetti finanziati con i Patti riguardano per il 40% il settore trasporti e infrastrutture, per il 27% l’ambiente e per percentuali molto più basse aree come inclusione sociale, istruzione e ricerca.
La lista dei progetti finanziati e conclusi è riportata dal portale Open Coesion.
Un dato che sorprende e spiega la paralisi di spesa di quello che una volta si chiamava Fas (Fondo aree sottoutilizzate) è che ci sarebbero ben 21 miliardi di residui nel bilancio dello Stato.
Un altro problema che viene alla luce è quello dell’utilizzo «improprio». Secondo il decreto legislativo 88 del 2011, che disciplina il funzionamento del Fondo, l’utilizzo deve essere vincolato al finanziamento di progetti strategici di rilievo nazionale. Non sempre però è così.