Da oggi 2 maggio fino al 5 al Teatro Valle inaugura la terza sessione espositiva della mostra MANICOMIO! MANICOMIO! SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE DI LUIGI PIRANDELLO, dedicata allo spettacolo di Memè Perlini Pirandello chi?, dramma inquieto, cupo e grottesco del 1973 che rileggeva in chiave immaginifica i Sei personaggi in cerca d’autore, con quel linguaggio dirompente e sperimentale che ne fece un manifesto per il teatro neoavanguardistico delle cantine romane negli anni Settanta. Nel gennaio 1973 debuttava Pirandello chi? in un antro sotterraneo di Piazza della Libertà a Roma conosciuto come Beat 72. Un omaggio a Pirandello in cui le persone-personaggi vagano in una scena cosparsa di sabbia, e si incontrano e scontrano spesso nella quasi oscurità con improvvisi fasci di luce rivelatori.
Una sorta di danza macabra di fantasmi, aperta dalla battuta «Lei sa bene che la vita è piena d’infinte assurdità» del padre nei Sei personaggi in cerca d’autore, cui Perlini si era ispirato nella creazione dello spettacolo, prendendo a prestito altre poche, sparse battute dal Così è (se vi pare). Il palcoscenico è un cupo e inquietante tribunale, in cui accusati e accusatori si tormentano a vicenda, come in una “stanza della tortura”, quella di cui poi parlerà, a proposito di Pirandello, Giovanni Macchia. Quasi totale il rifiuto della comunicazione verbale, cui Perlini sostituì la pura immaginazione, la visione onirica, fino a superare la contrapposizione pirandelliana realtà/finzione: ad andare in scena non era il tradizionale sofista e ragionatore pirandelliano, si cercava invece di andare oltre e dietro le parole per farne emergere il disagio profondo, l’incertezza assoluta, l’ombra della follia. Per il regista in quel testo, «oltre a un certo modo di vedere e agire sulla scena che ci si sentiva addosso in quegli anni, c’era una certa infelicità personale e collettiva, un senso di crisi profonda umana e sociale, di cui non riuscivo più a liberarmi».