Cyberuomo, la tecnologia ucciderà la democrazia. Parla Enrica Perucchietti

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Giornalista e scrittrice controcorrente, nella sua ancor breve carriera, Enrica Perucchietti, caporedattrice del Gruppo Editoriale UNO, ha trattato temi scomodi e impegnativi, quali le fake news, l’ideologia gender e il nuovo ordine mondiale. Il suo ultimo saggio Cyberuomo. Dall’intelligenza artificiale all’ibrido uomo-macchina (Arianna Editrice) riesce a sintetizzare in poco più di 200 pagine tutte le realtà distopiche legate all’ideologia scientista che stanno prendendo piede in questi anni, senza trascurare gli spaventosi scenari futuri che potrebbero concretizzarsi. Una sfida “prometeica” rispetto alla quale l’umanità dovrebbe iniziare una seria autocritica, altrimenti le conseguenze potrebbero essere molto gravi. A colloquio con Lo Speciale, la studiosa torinese ha illustrato la sua ultima fatica editoriale.

Nel suo saggio, significativamente, assieme alle citazioni scientifiche, fioccano quelle letterarie e cinematografiche. La fantasia ha, in qualche modo, anticipato la realtà? O forse è la realtà che sta ormai superando la fantasia?

“Direi entrambi gli aspetti. Da un lato abbiamo romanzieri, sceneggiatori e registi che hanno previsto e anticipato fenomeni, ricerche e scoperte odierne, dall’altro ci troviamo di fronte a una élite tecnocratica che sembra voler adempiere tali profezie, concretizzando quelli che fino a qualche anno fa erano ritenuti scenari non soltanto fantascientifici ma anche distopici”.

Il transumanesimo, per quanto terrificante, è una realtà utopistica destinata a implodere rovinosamente su se stessa (come è capitato alle utopie totalitarie del secolo scorso) oppure rischia seriamente di consolidarsi e progredire fino all’inverosimile?

“Temo che possa consolidarsi in una tecnoutopia, come immaginato da autori quali Aldous Huxley ed Eugenji Zamjatin. Nel mio libro parlo infatti di ‘titanismo’ e di peccato di hỳbris perché sono le caratteristiche fondamentali per inquadrare il transumanesimo. I transumanisti vogliono dominare la Natura ponendosi contro di essa con un atto di orgoglio, senza però pensare alle possibili conseguenze. È come se fossimo nelle mani di giovani Icaro attratti dall’anelito dell’infinito o sedotti dal canto delle sirene della tecnica.  Qua nasce l’ossessione dell’Uomo, di strappare alla Natura il privilegio di creare e divenire egli stesso creatore, di fabbricarsi un proprio universo, di superare i limiti imposti dalla propria specie ed essere egli stesso Dio. Dovremmo invece fermarci e riflettere su quei limiti che si stanno varcando, prendendo in esame tutte le possibili conseguenze dell’avventura pioneristica in cui il Big Tech ci sta trascinando. Temo infatti che nel prossimo futuro il condizionamento e il controllo sociale saranno totali grazie alle innovazioni tecnologiche se queste non verranno riconsiderate democraticamente alla luce dell’interesse della collettività.  Continuando di questo passo, ci attende un futuro distopico che verrà accolto come il migliore dei mondi possibili perché sarà stato ‘programmato’, desiderato come un vessillo di libertà. In cui il divario tra ricchi e poveri sarà sempre più accentuato, in cui ogni nostro movimento, pensiero, abitudine, orientamento, sarà mappato se non addirittura preordinato alla nascita grazie alla clonazione, l’eugenetica e agli uteri artificiali”.

Nel capitolo VIII si sofferma sul cybersex e sugli androidi a scopo sessuale: davvero l’affettività e la sessualità si stanno evolvendo in questa direzione? Alla base, c’è la solitudine e l’incomunicabilità dell’uomo contemporaneo?

“Purtroppo sì, credo che la progressiva astrazione che stiamo vivendo, sempre connessi e ormai schiavi della tecnologia, potrebbe in futuro spingerci a ‘legarci’ emotivamente a un androide creato su misura per noi o a praticare sesso attraverso la realtà virtuale. Dopotutto siamo sempre connessi ma paradossalmente siamo sempre più soli. Secondo il futurologo e politico britannico Ian Pearson, entro il 2050 gli esseri umani avranno più rapporti sessuali con robot che tra di loro. Come mostro nel libro, oltre alle bambole di silicone spopolano anche i veri e propri robot del sesso: il mercato offre proposte per tutte le tasche e le esigenze. Si tratta di una realtà che per esempio in Giappone è più diffusa di quanto possiamo immaginare. Qui, infatti, spopolano le waifu, la trascrizione in kakatana (uno degli alfabeti sillabici giapponesi) di ‘wife’, mogli virtuali dei nerd che vivono incollati allo schermo o sui manga, i cosiddetti ‘otaku’, gli appassionati in modo ossessivo di manga, anime, e altri prodotti ad essi correlati. Aumentano anche le storie di mariti che convivono (spesso in triangolo) assieme ai manichini… La vita reale non soddisfa le aspettative o fa paura. Nell’immaginario di un numero crescente di maschi le bambole/robot hanno poi l’immagine dell’eroina manga adolescente, maliziosa ma meno aggressiva e impegnativa di qualunque donna adulta ‘reale’… Questo la dice lunga sull’uomo contemporaneo e sull’apparente emancipazione femminile. Meglio i manichini o i fumetti e a breve i robot che potranno soddisfare qualunque desiderio”.

Legato a doppio filo a questo tema appena trattato, c’è quello dell’ectogenesi (uteri e spermatozoi artificiali, ecc.): questo fenomeno potrebbe intrecciarsi all’ennesimo nuovo filone femminista?

“Esatto. Per giustificare la ricerca nel campo dell’ectogenesi la bioetica ha abbracciato il neofemminismo. Il biologo e filosofo Henri Atlan, fino al 2000 nel Comitato di bioetica francese, sostiene per esempio che l’ectogenesi segnerà «la possibilità di una evoluzione verso una vera eguaglianza dei sessi». In Equal opportunity and the case for the state sponsored ectogenesis, Evie Kendall, da una prospettiva che si vorrebbe ‘femminista e liberale’ esalta l’ectogenesi come un mezzo di eguaglianza che andrebbe ad abbattere i rischi della gravidanza e del parto, liberando di fatto la donna dal dominio della natura. L’utero artificiale, dunque, secondo costoro, potrebbe offrire quella liberazione dai problemi del parto e garantire una forma di eguaglianza biologica a tutte le donne, anche a quelle sterili.
Questa visione giustifica così le ricerche nel campo dell’ectogenesi per conseguire l’uguaglianza tra i generi: disgiungere la riproduzione dalla biologia e creare le nuove generazioni in forni artificiali come Aldous Huxley aveva immaginato in tempi non sospetti nel suo romanzo distopico, Il mondo nuovo”.

Parliamo, infine, di clonazione: quali sono gli ultimi sviluppi e quali sono le reali intenzioni di chi la porta avanti?

“Ufficialmente a scopo ‘medico’. La clonazione apre nuovi scenari per la cura di molte malattie umane gravi ad esempio del sistema nervoso (Alzheimer, Parkinson, Ictus). Il passaggio alla clonazione umana non è scontato ma date le derive del progresso scientifico e tecnologico vanno prese in considerazione e andrebbe richiesta maggiore trasparenza in questo campo, ponendo inoltre dei limiti oltre i quali non si dovrebbe eticamente andare, nel rispetto cioè dei princìpi di precauzione, responsabilità e tutela della vita, intesa sempre come fine della ricerca, e mai unicamente come mezzo. Esiste infatti il rischio di un distorto utilizzo di queste nuove conoscenze. Clonare un essere umano è inutile e scientificamente immotivato, se non fosse che potrebbe divenire ‘utile’ per motivi non etici, che vanno presi in considerazione, quale la possibilità di avere cloni umani intesi come riserve di organi. Non solo. La clonazione umana è stata talvolta proposta per migliorare le qualità genetiche dell’umanità: clonando ad esempio individui di grande successo nello sport, nella musica, nelle arti, nella scienza, nella letteratura, e nella politica. Alla base vi è un’idea di distinzione/suddivisione in caste tra persone più o meno capaci e quindi tra coloro che meritano di essere clonati/di sopravvivere e chi viene inteso come ‘normale’ e quindi ipoteticamente in futuro anche ‘sacrificabile’. Stiamo camminando sul filo di un rasoio. Chi ci dice che non si raggiungeranno presto scenari distopici come quelli immaginati dalla letteratura cyberpunk o ucronica come Non lasciarmi del premio Nobel Kazuo Ishiguro o dal film The Island di Michael Bay con cloni umani che fungano da donatori di organi? Pensate che immaginare in futuro la clonazione umana come sfruttamento di forza lavoro o riserva per trapianti sia così folle? Dovremmo chiederci quante possibilità ha l’idea della clonazione umana, citando la Finestra di Overton, di penetrare nel tessuto dell’opinione pubblica e diventare prima accettabile per poi essere legalizzata e concretizzarsi. Si tratta di preoccupazioni etiche di certo non infondate, se consideriamo ad esempio le già citate ricerche nel campo dell’ectogenesi”.

Di Luca Marcolivio

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