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MORO2020: L’eredità delle parole e del corpo di Aldo Moro nella nostra storia

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Sabato 15 febbraio, Teatro Vascello (Via Giacinto Carini, 78) ore 19.00 (ingresso libero fino ad esaurimento posti): il Gruppo Storia  di Grande come una città vuole ricordare Aldo Moro – nell’anniversario del suo rapimento (16 marzo 1978) –  promuovendo un incontro ed un dibattito intorno alla figura del grande statista e all’eredità del suo pensiero e del suo lavoro politico. Interverranno Marco Damilano, Miguel Gotor, Fabrizio Gifuni, Francesco Biscione, Christian Raimo e Ilaria Moroni. L’occasione, infatti, è offerta da un potente spettacolo che Gifuni dedica a Moro (18- 23 febbraio) e di cui verrà offerta un’anteprima: parole alla ricerca dei confini di una tragedia i cui effetti paghiamo forse ancora oggi.

La mattina del 16 marzo 1978 in cui le Brigate rosse rapirono Aldo Moro, si votava la fiducia al quarto Governo presieduto da Giulio Andreotti. Per la prima volta il Partito Comunista partecipava alla maggioranza parlamentare che avrebbe sostenuto l’esecutivo. Ed era stato Moro a gestire l’accordo.

Il 1978 è stato un anno cruciale per la Repubblica, forse l’anno finale per quel progetto politico e sociale immaginato dalla costituzione, o almeno è così per alcuni storici e politologi che ritengono che una vera Seconda Repubblica non sia mai riuscita a nascere dalle ceneri di quella crisi. Vera è la constatazione che con Aldo Moro non sia morto solo l’uomo e nemmeno solo il politico. Ma una parte della nostra identità collettiva.

L’effetto delle parole di Moro, delle sue lettere, del memoriale, l’effetto del suo corpo prima in prigione, poi cadavere nel bagagliaio della Renault 4, rimangono come tracce fantasma che non smettono di infestare ogni possibile confronto pubblico, hanno una potenza spettrale come quella del padre di Amleto.

A distanza di quarant’anni, proprio come in un monologo shakesperiano, Fabrizio Gifuni rilegge in uno spettacolo evocativo e potente (in scena al Teatro Vascello dal 18 al 23 febbraio) quelle lettere e quel memoriale: “Con il vostro irridente silenzio” è una delle espressioni che Moro usa per congedarsi dai quei vivi che sono stati i suoi colleghi di partito, la classe politica con cui ha condiviso ogni istante della sua esistenza.

Prossimo alla morte, consolato solo da affetti privati, Moro concentra su di sé la crisi di una Repubblica che non finisce di finire.

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