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Il Covid già presenta il conto: 5,4 miliardi (di ore di cassa integrazione)

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artigiano

Nel governare un Paese un pizzico di ottimismo è fondamentale. E dunque va benissimo che il premier Mario Draghi – e tutta la sua enorme maggioranza a rimorchio – annunci le magnifiche sorti e progressive di un’Italia ormai fuori dal Covid e prossima a investire i quasi 200 miliardi generosamente concessi dall’Europa. Ma è bene non perdere il contatto con la realtà, quella fatta dei numeri pesantissimi appena pubblicati dall’Istat. E questi numeri dicono che dall’inizio della pandemia (aprile 2020) a oggi in Italia sono state autorizzate quasi cinque miliardi e mezzo di ore di cassa integrazione.

Il numero, così grande da essere di difficile realizzazione, potrebbe essere liquidato dai più fiduciosi come un lascito di un periodo terribile, certo, ma che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle. Purtroppo quei freddi numeri ci dicono anche che nel maggio scorso, con i negozi tutti aperti e i ristoranti che ricominciavano ad accogliere i clienti, le ore di cig sono state comunque 217 milioni, addirittura il 5,7% in più di quelle autorizzate ad aprile.

E va pure ricordato che questi dati si riferisce ai lavoratori in qualche misura tutelati, dotati di contratti di lavoro che prevedono sostegni in caso di difficoltà, e riguardano settori che in teoria hanno sofferto meno durante la pandemia, come quello metallurgico e quello edilizio. Riguarda appena 6,7 milioni di lavoratori in un paese che conta 60 milioni di persone. Nulla o quasi ci dicono degli addetti alla ristorazione o all’accoglienza, perché hanno contratti stagionali o addirittura in nero. Per dare un’idea della gravità della situazione, il precedente primato di annus horribilis spettava prima al 2009, quando si erano registrate “appena 1,2 miliardi di ore di cassa integrazione. Certo, quelli erano i tempi dell’austerity, della troika, di Merkel e Macron che decidevano tra un caffè e una passeggiata di far fallire uno stato membro dell’Unione, questi sono i tempi della concordia e della condivisione del debito.

Ma è bene tenere a mente che questo clima di pace sociale non è destinato a durare, e che l’Italia si prepara a dover riprendere a correre (Draghi ha detto che se vogliamo mantenere i conti in ordine dobbiamo riprendere subito a crescere) con le ossa rotte. In molti non se ne sono accorti proprio grazie a misure di sostegno come la cig straordinaria, le moratorie dei mutui e l’accesso facilitato al credito, ma tutte queste misure dovranno prima o poi essere ripagate. Per ora ce la siamo cavata con un aumento mostruoso del debito pubblico, ormai al 160% del Pil, ma questa massa di debito andrà ridotta, pena il ritorno dello spread di dieci anni fa, che quasi ci aveva mandato in default.

Il premier ha concluso che l’Italia deve dare subito l’impressione di un paese in grado di crescere come non fa più da vent’anni, e anche per questo continua a sostenere la necessità di interrompere dal 1° luglio il blocco dei licenziamenti, ma sembra che l’Italia del lavoro sia ancora molto fragile. Non resta che sperare che quei cinque miliardi di ore non lavorate, ma garantite dallo Stato, non si trasformino in altrettante ore non lavorate e basta.

 

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