Se visiterete San Pietroburgo molto probabilmente vi accadrà di sentire dalla vostra guida questa colta e raffinata definizione. Mentre visitavo la splendida città fondata da Pietro il Grande, la nostra guida, una donna colta e preparata che parlava un perfetto italiano, citò questo detto russo e rimasi colpito dalla profondità e vastità storica ed artistica contenuta in questa definizione così indovinata. Una perfetta sintesi, un modo di dire che celava un rapporto intenso e profondo di due popoli e di due anime. Lo scambio è ben più vasto e complesso del solo lavoro svolto dai famosi architetti italiani Antonio Rinaldi, Giacomo Quarenghi, Carlo Domenico Rossi, solo per citarne alcuni.
La città è ricca di monumenti e di palazzi istituzionali fra cui il famoso Ermitage creati e disegnati dagli architetti italiani. Gli aristocratici facevano a gara per essere più “italiani” possibile, tanto era l’ammirazione per il nostro paese e per la nostra cultura. Le grandi famiglie volevano un piccolo teatro privato detto “all’italiana”. La città che aveva un clima rigido e lungamente freddo con estati molto brevi fu colorata con tinte brillanti per reazione al clima quasi sempre grigio.
I nostri architetti furono gli ambasciatori inconsapevoli della nostra tradizione artistica e padri di una enorme influenza culturale, che durerà fino a noi, creando un legame quasi religioso tra le anime dei due popoli. La guida ci raccontava che Caterina II colta e curiosa di tutto scriveva lettere in francese a Voltaire ma cercava ovunque in Europa opere d’arte del Rinascimento e dei nostri più grandi artisti, disposta a pagare qualunque prezzo per un Caravaggio o un Raffaello! Furono tutti ad amare immensamente il “BelPaese”.
Gli aristocratici facevano il Grand Tour e quando tornavano a casa cercavano di ricreare, in un salotto del loro palazzo o nel dettaglio di un semplice quadro, quel gusto italiano che tanto avevano ammirato nelle nostre città d’arte. Fu nel 700 che esplose la moda dei souvenirs, piccole riproduzioni di opere d’arte o piccole riproduzioni dei più famosi quadri con le tipiche vedute del Canaletto e dei Vanvitelli.
Caterina II era talmente affascinata dalla nostra civiltà che fece riprodurre all’Ermitage le stesse logge di Raffaello in Vaticano tanto ben riprodotte sin nei minimi dettagli che quando ci furono dei restauri in Vaticano chiesero alla direzione del museo le riproduzioni degli affreschi per controllarne l’esattezza dei dettagli. Il rapporto fra le opere d’arte e la loro conservazione era il simbolo della grande reciprocità e universalità dell’arte.