Sulle tasse Draghi fa il populista: sostiene il ceto medio e terrorizza i partiti

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Qualunque cosa si pensi della nuova riforma del fisco, che ha eliminato una aliquota Irpef e abbassato alcune delle rimanenti, a Mario Draghi dovrà essere riconosciuto il merito di aver riscoperto una categoria che sembrava ormai persa nella leggenda; il ceto medio. Quella mitica classe sociale che per decenni ha più o meno fatto andare avanti il Paese, nutrendo sogni ragionevoli e ambizioni raggiungibili, concedendosi consumi non eccezionali ma consistenti e stabili. Pareva essere stato spazzato via dall’impoverimento del ceto impiegatizio, dal precariato perenne, da una tassazione che li confondeva per dei ricconi a beneficio di chi ricco era davvero ma si fingeva povero. Eppure hanno continuato a esistere, a lavorare, produrre e soprattutto pagare tante tasse mentre milioni di evasori – il vero prodotto tipico italiano, altro che pizza, calcio e mandolino – continuavano a fingersi poveri.

Ecco, con il taglio di tre punti percentuali (dal 38% al 35%) dell’aliquota pagata dagli italiani con un reddito dichiarato tra i 28 e i 50mila euro, Draghi ha riconosciuto finalmente l’importanza di quella terra di mezzo che non è ricca né povera e soprattutto paga quel che deve. La riforma firmata dal ministro dell’Economia Daniele Franco ma fortissimamente voluta dal premier cerca di restituire un po’ di energie a questi eroi anonimi del Paese, la massa dei milioni di lavoratori che con lauree e dottorati si arrabatta per portare a casa duemila euro scarsi al mese. Che non sono pochi, ma neanche tanti. Ecco, a loro oggi verrà concesso di tenersi fino a 920 euro in più all’anno (i calcoli li ha fatti l’ex vice ministro delle finanze Enrico Zanetti, uno che se ne intende); un risparmio che è molto più alto sia di quello rimediato da chi sta nelle aliquote più basse o in quelle più alte.

La decisione ha scontentato, ovviamente per motivi opposti, sia i sindacati che Confindustria. I primi avrebbero voluto dedicare tutti gli 8 miliardi messi da parte per il taglio delle tasse a lavoratori e pensionati, mentre la seconda avrebbe voluto invece ottener per le aziende ben più dei 2 miliardi riservati per la riduzione dell’Irap. In una nota Viale dell’Astronomia ha spiegato che “La sforbiciata alle aliquote Irpef disperde risorse limitate, con effetti impercettibili sui redditi netti delle famiglie italiane”, aggiungendo che “L’intervento in legge di bilancio dovrebbe concentrarsi sulle vere priorità capaci di generare aumenti stabili del Pil, gli unici in grado di garantire la sostenibilità del nostro debito pubblico”. Una critica così forte all’ex presidente BCE, che un mese fa al convegno degli industriali si era preso un’ovazione che neanche Springsteen, fa davvero impressione.

Ma i veri sconfitti dalla misura del duo Draghi-Franco sono come al solito i partiti (della maggioranza come dell’opposizione unica targata Meloni, visto che né i primi né la seconda contano nulla quando c’è da prendere qualche decisione importante sulle questioni finanziarie). Draghi sta riuscendo infatti a portare avanti una misura che coinvolge milioni di elettori finora sempre ignorati dai partiti di destra e di sinistra: i primi perché troppo impegnati a difendere gli evasori, i secondi preoccupati solamente di tenere le tasse basse per i meno abbienti (compresi quelli finti), ignorando del tutto quella massa di mezzo trattata come ricca quando spesso fatica ad arrivare a fine mese (provateci voi a vivere con 2mila euro di stipendio se avete due figli e magari un mutuo da pagare).

In altre parole; Mario ha deciso di attuare una misura che avvantaggia tantissimi italiani, che rischia di renderlo popolarissimo. È forse la sua azione più “populista” da quando è a Palazzo Chigi. Ecco perché tutti gli attori del grande gioco della politica che dettavano le regole prima di lui cominciano ad avere una grande fretta di regalargli il Quirinale pur di toglierselo di torno.

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