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Con Draghi e Macron a nozze la Spagna diventa la zitella d’Europa

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E ora tocca alla Spagna ballare da sola. Dopo anni di riunioni UE in cui l’Italia faceva sempre la parte della Cenerentola – trattata come un’intrusa, malvista e tenuta in un angolo mentre gli altri decidevano le sorti dell’Europa – ora le cose sono cambiate. La Fata Turchina Mario Draghi ha trasformato il nostro paese nella più bella del ricevimento, corteggiata pure dal principe francese Macron, che l’ha scelta per provare a scardinare le vecchie regole di Maastricht sancendo l’alleanza con un vero e proprio matrimonio in grande e stile, ovvero il Trattato del Quirinale firmato il 26 novembre scorso. La speranza è di sconfiggere la strega cattiva, ovvero la Germania nemica di ogni ammorbidimento e condivisione del più piccolo rischio finanziario.

Il matrimonio ha avuto pure le sue belle pubblicazioni, sotto forma di intervento sul Financial Times firmato dal capo dell’Eliseo e di Palazzo Chigi nel quale si chiedeva ufficialmente di cambiare il Patto di stabilità e magari aprire la strada all’emissione di titoli di stato europei. E la Spagna? Abituata nell’ultimo ventennio a recitare la parte della potenza mediterranea “responsabile” e in grado di mantenere un ottimo rapporto – seppure ancillare – con la Francia, si è sentita tanto tradita da Parigi da decidere un clamoroso cambio di rotta nelle alleanze. Invece di seguire la strada tracciata da Francia e Italia ha preferito approcciare direttamente la Germania, cercando nei giorni scorsi di guadagnarsi la sua fiducia con delle dichiarazioni che sembravano dar ragione ai rigoristi nonostante i conti pubblici spagnoli non siano molto migliori dei nostri (in Spagna il rapporto deficit/Pil è al 122%, contro il 70% della Germania). All’indomani della pubblicazione dell’articolo del Financial Times il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez aveva infatti detto «Non è positivo che ci siano blocchi di alcuni paesi che difendono una posizione e altri paesi che ne difendono un’altra». E aveva poi invocato «il lavoro tra tutti i governi, in modo unito e silenzioso», in palese polemica con la “spettacolare” iniziativa di Macron e Draghi.

Il problema è a Berlino non si sono strappati esattamente i capelli dall’entusiasmo di fronte alle avances di Madrid: prova ne è stata la conferenza stampa congiunta di ieri tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e Sánchez. Il premier iberico aveva grandi aspettative sull’incontro, considerato anche la “vicinanza ideologica” con Scholz, essendo pure lui esponente di un partito (sedicente) socialista. Il guaio è che per i tedeschi la Germania viene prima di ogni altra cosa, e l’ex ministro delle finanze della Merkel si è limitato ad assicurare che “Germania e Spagna sono amici intimi”, ma ha aggiunto di non avere alcuna intenzione di rivedere le regole fiscali. Ha poi ricordato, usando toni un tantino sprezzanti, che è proprio grazie alle regole di Maastricht che è stato possibile attivare la maggior parte dei 750 miliardi di euro del fondo per la ripresa della pandemia che tanto utile è stato alla Spagna.

Così Sanchez si è ritrova isolato: lasciato indietro dalla “cricca mediterranea” non è neanche stato accolto nel gruppo dei frugali, che hanno nei confronti della Spagna una fiducia non molto maggiore di quella che nutrono nei confronti dell’Italia. Eppure il leader socialista sembra intenzionato a insistere, proponendo per la Spagna un’immagine di formica «attenta prima di tutto alla sostenibilità dei conti pubblici» nonostante l’economia del paese abbia un disperato bisogno di spendere per rimediare ai disastri causati dal Covid. Così facendo la Spagna spera di essere invitata a fare un giro di valzer con la Germania, ma è più probabile che trascorrerà i prossimi vertici europei seduta in un angolo, ricordando i bei tempi in cui la Francia la faceva volteggiare al centro della sala.

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