Il settore auto messo male che fa andare d’accordo aziende e sindacati

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Da che mondo è mondo un segnale inequivocabile della gravità della situazione economica è dato quando imprenditori e sindacati si alleano nella lotta per la sopravvivenza. Significa che la situazione è seria davvero. È quello che sta succedendo nel comparto automotive: aziende e rappresentanti dei lavoratori si sono incontrati ieri all’Hotel Nazionale di Roma per lanciare il loro grido d’allarme al governo e al ministro dello Sviluppo economico Giorgetti: se Palazzo Chigi non interverrà per gestire il processo di transizione del settore dal motore termico (dove l’Italia è ancora una potenza) all’elettrico (dove siamo pressoché inesistenti) decine di migliaia di posti di lavoro rischiano di essere persi.

A finire sul banco degli imputati è soprattutto il titolare del Mise, che forse sta meditando di lasciare l’incarico non tanto per i malumori della Lega nei confronti all’esecutivo – come ha lasciato intelligentemente trapelare – ma per non dover gestire un dossier che rischia di esplodere da un momento all’altro. La leadership di Giorgetti è stata criticata soprattutto essersi basata su riunioni che hanno coinvolto un numero enorme di invitati – fino a cento – capaci di ricevere grande attenzione sui giornali ma non di approdare a qualche decisione, mentre in Germania e in Francia il patto sulla trasformazione del settore è stato stipulato con aziende e sindacati già un anno fa. L’unico risultato raggiunto finora è stata una generica promessa a promuovere ecoincentivi destinati all’acquisti di auto elettriche, ma pure se questa misura venisse realizzata i benefici nel settore sarebbero minimi perché in Italia la produzione di componenti delle auto elettriche è insignificante; quella che va finanziata è una trasformazione del comparto oggi ancora legato alle vecchie tecnologie.

Che il braccio destro di Salvini non goda di molta popolarità nel settore è testimoniato dal fatto che Federmeccanica e i sindacati hanno affermato chiaramente di voler parlamentare direttamente con il capo del governo, l’unico del quale sembrano fidarsi. D’altra parte il documento lamenta esplicitamente la sordità dimostrata finora di fronte «all’emergenza di un settore fondamentale dell’economia che deve fare i conti con la transizione verso l’elettrico con lo stop ai motori endotermici nel 2035».

Una transizione che se non gestita si risolverà in un bagno di sangue: secondo i partecipanti al tavolo ben 73mila posti di lavoro sui circa 250mila attualmente esistenti rischiano di essere cancellati. Un colpo mortale per un settore fondamentale per l’economia italiana, capace di generare da solo il 5,6% del Pil grazie ai 93 miliardi di fatturato.

A rendere più drammatica la situazione ci è messo il Covid, che ha depresso le vendite di auto nuove un po’ ovunque in Europa e soprattutto in Italia (d’altra parte a che serve la macchina nuova se tra lockdown e limitazioni agli spostamenti sono due anni che siamo confinati entro un raggio di due chilometri da casa?): se nel 2019 il settore già era ricorso a 26 milioni di ore in cassa integrazione, nel 2021 della “ripresa record” siamo arrivati a 60. Se a questi problemi aggiungiamo la progressiva ritirata della Fiat – no scusate FCA, no scusate Stellantis – dall’Italia, è evidente che siamo di fronte alla tempesta perfetta, che il capitano in seconda Giorgetti non sembra avere le capacità di superare. E quindi non resta che affidarsi ancora una volta a Super Mario, nella speranza che tra i fondi per il PNRR siano rimasti due spicci per finanziare la più costosa trasformazione industriale dal secondo dopoguerra.

 

di Massimo Spread

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