Il pubblico presente all’inaugurazione del Festival di Cannes s’è visto comparire all’improvviso, sul megaschermo, il volto di Volodymyr Zelensky, il quale ha iniziato subito l’abituale concione a sostegno della causa ucraina, per poi invitare il mondo del cinema a mobilitarsi contro Putin. L’esempio –ha detto- deve essere Charlie Chaplin, che prese in giro Hitler nel celebre film “Il grande dittatore”.
Che c’azzecca Zelensky con il Festival di Cannes? Niente, a parte forse il passato di attore del presidente ucraino. Ma ormai è inutile porsi domande simili. Zelensky è ovunque. La sua immagine inonda i media europei. Lo vediamo nei talk show, nei telegiornali, in libreria, in edicola, in qualsiasi luogo da cui parta e si diffonda la nuova cultura di massa.
Nel caso dell’ex attore diventato presidente, si tratta di una cultura improntata al fanatismo. Appena la sua figura è comparsa sullo schermo, il pubblico di Cannes è scattato in piedi tributando all’illustre ospite un applauso caloroso, fragoroso, commosso. Occhi lucidi, espressioni estatiche, volti rapiti: Zelensky superstar è più di una star del rock, più di un divo del cinema, più di un campione del calcio, più di Ronaldo e Maradona messi insieme. È un oggetto di culto. Diciamo meglio: è oggetto di una inedita forma di culto della personalità.
Forma inedita, ma non per questo meno totalitaria. Potenzialmente, certo. Ma il meccanismo è lo stesso. Ed è il meccanismo che consiste nell’occupare stabilmente lo spazio mentale del pubblico, dell’opinione pubblica, dei cittadini che guardano la tv nel tinello di casa o che navigano su Internet o che ricevono i messaggi social sullo smartphone.
Zelensky ricorda il Grande Fratello narrato da George Orwell nel celebre “1984”, la cui forza consiste nel controllo, non fisico, ma psicologico. È il Grande Fratello che richiede un amore assoluto e che può essere offeso solo con il pensiero. Il pensiero libero, naturalmente.
Ecco, è proprio quello che sta accadendo in questi mesi, dove ogni opinione che punta a distinguersi –come insegna il caso Orsini – dal fanatismo atlantista e antirusso egemone è messo al bando e diventa oggetto di vituperio. È un peccato, anzi uno psico-peccato, contro la Bontà del Nuovo Grande Fratello che gonfia i cuori e mobilita le menti. Tant’è che si rimane stupefatti del fatto che la cultura dello sberleffo e del sarcasmo, egemone fino a qualche tempo fa sui media italiani ed europei, rimanga muta, come ipnotizzata da questa imponente onda mediatica che imperversa per il continente. È singolare (ma in fondo non tanto) che i sapidi corsivisti alla Gramellini si facciano oggi scherani del Nuovo Grande Fratello e prendano a metaforiche manganellate coloro che osano esprimere opinioni orwellianamente scorrette.
A questo punto, è scontato rilevare che il problema non sia Zelensky in sé, ma le forze che hanno trasformato la sua immagine, per gli scopi più vari, in un feticcio totalizzante. Forse non c’è un grande complotto. Però è certo che la cultura del dubbio e dello spirito critico sia oggi in grave crisi in Europa. E lo sia, per la verità, anche da molto prima che scoppiasse il caso Zelensky.
Questa febbre dello spirito europeo passerà, certo che passerà. Ma potrà rivelarci un paesaggio culturale desertificato, con poche idee e tante, manipolabili emozioni.