Cannabis, è facile smontare gli argomenti di chi vuole legalizzarla

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Riparte in Italia il Circo Barnum della legalizzazione della cannabis. È uno spettacolo triste. Sia perché vecchio, dal momento che dura con vari intervalli da parecchi anni, sia perché strumentale: serve solo a Pd e progressisti vari per dire “qualcosa di sinistra”  davanti al popolo distratto dei loro sostenitori.

Diciamo che il ritorno in Parlamento della cannabis, insieme alla proposta dello “ius scholae”, è un chiaro segnale di fine legislatura è d’inizio della campagna elettorale. Tant’è che Salvini ha tratto spunto da queste iniziative dei dem e dei loro alleati per fare fuoco e fiamme, fornendo un discreto contributo all’ulteriore destabilizzazione del già traballante governo Draghi. Insomma, in questo incandescente inizio estate, una comune convenienza politica unisce il leader della Lega ai suoi avversari della sinistra e dei suoi dintorni.

Ma il punto che ora ci interessa approfondire non è tanto il mesto profilo politico di questa ennesima iniziativa sulla cannabis, quanto confutare i soliti argomenti posti a fondamento delle periodiche richieste per legalizzarla. È venuto il momento di fare un po’ di chiarezza su equivoci, forzature e luoghi comuni che circolano da troppi anni. 

Questi argomenti sono sostanzialmente tre. Primo: punire la detenzione della cannabis oltre l’uso personale non serve a combattere l’uso della droghe, che continua indisturbato. Secondo: con la legalizzazione, i consumatori di droga potrebbero aquistare “prodotti” più sicuri. Terzo: rendere legale la droga serve anche a colpire economicamente la criminalità organizzata.

Partiamo dall’ultimo punto. Viene da ridere al pensiero che le quattro piantine di “erba” permesse alla  coltivazione dei privati cittadini (come prevede la proposta)  siano in grado di colpire i profitti di cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra.  Né va dimenticato che le mafie possono contare su una liquidità e su “filiere” tali da sbaragliare qualsiasi azienda concorrente, legale o meno che questa sia.   La legalizzazione servirebbe in definitiva solo ad allargare il mercato.

Quanto ai primi due argomenti, diffusione della droga e suo consumo in relativa “sicurezza”, si dà il caso che i dati ufficiali smentiscano clamorosamente le asserzioni dei promotori della proposta di legge. Se, in materia di contrasto alle droghe, c’è un modello che funziona, questo modello è proprio quello italiano, con il combinato disposto tra azione repressiva dello Stato, da un lato, e azione di recupero svolta dall’associazionismo privato, dall’altro. Una volta tanto possiamo impartire lezioni di efficienza agli altri. E non c’è davvero motivo di cambiare sistema.

I numeri ci dicono infatti che, nel corso di circa 25 anni (dalla metà dei Novanta al 2020), i morti di overdose sono diminuiti di un buon 80%, passando da 1600 a 308 l’anno. Nello stesso periodo, si è registrata una diminuzione intorno al 50% sia della pericolosità sia dei prezzi degli stupefacenti.

Rimane però il fatto che il consumo della cannabis e delle altre droghe fa male alla salute, fa male alla psiche, fa soprattutto male alla personalità dei giovani. E proprio qui sta il punto. Perché, nonostante i dati reali li smentiscano, ai fautori della legalizzazione interessa solo l’idea di cancellare una “proibizione” in vista di chissà quale nuova forma di libertà.

È un meccanismo perverso del pensiero, che uno esperto nel campo del contrasto alle droghe come Pino Arlacchi  demolisce inesorabilmente: «Ai proponenti non pare interessare la riduzione di un consumo micidiale per la salute e l’integrità psico-fisica dei loro concittadini, quanto dare spazio a un diritto negato».

Arlacchi, che è stato direttore esecutivo del programma antidroga dell’Onu, offre anche cifre spaventose su quello che accade negli Stati che hanno scelto la via della legalizzazione, in primis gli Usa: «Le droghe legali hanno generato negli Stati Uniti una platea di 10 milioni di consumatori, e un numero di morti per overdose che il mese scorso ha raggiunto la cifra di 100 mila all’anno (in Europa 7 mila). La libertà di drogarsi è così diventata la prima causa di morte (pre-Covid) dei cittadini degli Usa di età inferiore ai 50 anni» (da “la Repubblica”, 6 dicembre 2021).

Con quest’idea di legalizzare la cannabis, il Pd e suoi alleati distolgono lo sguardo  dalla realtà odierna per tornare ai tempi del ’68 e dintorni, quando furoreggiava lo slogan “è vietato vietare”. Ma quello slogan, per tanti giovani fragili di due o tre generazioni, è stata la sigla ideologica della loro malattia e, in qualche caso, della loro morte. Pensassero meno, lorsignori, ai giovani di ieri. E si concentrassero piuttosto a salvaguardare i ragazzi di oggi.

 

 

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