Disastro, rovina, sciagura. È con un’aggettivazione a dir poco melodrammatica che i grandi giornali stranieri hanno salutato la caduta del governo Draghi. Secondo i quotidiani tedeschi il Belpaese si era scavato da solo la fossa, buttandosi a capofitto in una crisi economica che senza l’ex presidente della Bce ci avrebbe condotto senza dubbio a una crisi del debito.
E invece, un paio di settimane dopo la tragedia, i commentatori devono riconoscere che, in qualche maniera misteriosa, l’Italia continua a reggersi sulle proprie gambe anche senza i poteri di Super Mario. Come riconosciuto dallo stesso quotidiano finanziario francese Les Echos, le cose non vanno così male: lunedì il tasso decennale del nostro debito è sceso per la prima volta da maggio sotto il 3%, mentre lo spread con i bund tedeschi è rimasto intorno ai 210 punti base: non poco, ma neanche di più rispetto a quando il premier aveva ancora una maggioranza.
Il fatto è che i mercati ora non scommettono più sulla nostra capacità di ripagare gli interessi sul debito, e questo non certo grazie al TPI, il misterioso scudo anti spread messo a punto da Francoforte che nessuno ha capito bene come funziona, ma paradossalmente grazie alla donna che più di tutti in Europa e all’estero sembrano temere, ovvero Giorgia Meloni.
Forte di consensi che danno il suo partito di gran lunga il primo partito nella coalizione, Giorgia si è comportata in questi giorni in maniera molto accorta. Prima ha assicurato la sua leadership nei confronti di Salvini e Meloni, facendo loro capire che non avrebbe mai accettato estenuanti trattative sul nome del (anzi, della) premier, poi ha provveduto a rassicurare alleati e mercati dichiarando che si sarebbe attenuta alle regole fiscali dell’Unione Europa, rispettando gli impegni presi per ottenere i fondi del Pnrr, e rimarcando la sua convinta adesione al Patto atlantico e un sostegno incondizionato all’Ucriana. Di sicuro facendo ancora di più infuriare i filoputiniani di Lega e Fi ma deliziando le cancellerie occidentali e i maggiori osservatori economici. Tutti gli esperti interpellati dai maggiori media mondiali, da quelli di Barclays a quelli di ING Group, hanno ripetuto che sulle regole di bilancio Meloni è affidabile, e al netto di qualche strappo per trovare un accordo con tassisti e balneari si proseguirà nel solco tracciato da Draghi.
Gli ultimi dati economici – questi, va detto, tutto merito dell’azione dell’attuale governo – dimostrano che il Paese si conserva in salute; a giugno il tasso di disoccupazione è rimasto stabile all’8,1%, il Pil continua a crescere più della media europea, mentre le vendite al dettaglio nel secondo trimestre sono aumentate dell’1,1%. Ereditando dati di questo genere alla Meloni basta tenere la barra dritta per garantire al paese un passaggio di consegne al potere con pochi scossoni. Scossoni che potrebbero essere del tutto ammortizzati se, come pare, Fratelli d’Italia sceglierà un tecnico di alto profilo cui destinare la poltrona di ministro degli Esteri.
Sta’ a vedere che la famosa agenda Draghi, appena cestinata da Calenda per salire sul carrozzone assistenzialista di Letta, che dovrà conciliare le posizioni di Gerlmini e Carfagna con quelle di LeU e Sinistra italiana, verrà portata a termine dall’unica leader di partito che nel governo guidato dall’ex banchiere non è mai voluta entrare.
Io sono Giorgia, sono draghiana (!?!)
