“Il Richelieu di via Bellerio”, “il più tecnico dei politici”, “il leghista pensante”, “quello bravo”. Giornalisti e commentatori di centrodestra si sono esercitati a fondo per sottolineare in ogni modo la diversità – ovviamente intesa in senso positivo – del nuovo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti rispetto ai suoi colleghi nel nuovo esecutivo Meloni.
Lo hanno fatto anche per scaramanzia, perché sappiamo tutti che una buona metà del successo del governo dipenderà da quello che si deciderà nelle stanze di via XX Settembre, dove il braccio destro (ma forse dovremmo scrivere “il cervello”) di Salvini prenderà il posto di Daniele Franco.
Giorgetti sa di non essere stato la prima scelta della nuova premier (era Panetta) e neanche la seconda (pare fosse lo stesso Franco) ma non se l’è presa, prima di tutto perché è uomo di mondo e poi perché lui stesso avrebbe evitato volentieri una responsabilità da far tremare i polsi. Ma ormai la sua bravura l’ha portato a quella poltrona dove un politico di destra non siede da quel disgraziato 2011, quando Tremonti dovette dimettersi con tutto l’esecutivo di fronte a uno spread che stava facendo andare l’Italia in default.
Anche se molti a sinistra sperano che il disastro si rinnovi – e pazienza per il Paese, tanto nelle ztl la crisi non arriva – dai primi messaggi arrivati dalle cancellerie internazionali sembra che intorno a Giorgetti ci sia una benevola curiosità. Merito certo dell’ottima presentazione fatta da Franco, che prima di dimettersi ha speso parole al miele per il suo ex collega nel governo dei migliori, e dello stesso Mattarella che si sarebbe lasciato sfuggire giudizi più che positivi proprio a beneficio degli interlocutori europei.
Ma adesso il tempo delle presentazioni è finito, e già da lunedì Giorgetti dovrà dedicarsi anima e corpo a tre dossier: le bollette da calmierare, i fondi del Pnrr da spendere bene e l’età pensionabile da rivedere.
La prima sfida richiederà probabilmente uno scostamento di bilancio, che andrà approvato mantenendo la fiducia dei mercati, memori della lezione inglese, dove un annuncio di aumento di spesa (in quel caso per tagliare le tasse) è costato il posto a Liz Truss, caduta dopo appena 45 giorni al potere. In teoria più lineare dovrebbe essere il percorso che porterà a spendere, nel 2023, altri 40 miliardi del Piano di rilancio. Se utilizzati bene potrebbero evitare al paese quella recessione che l’FMI si aspetta per il nostro paese. Quanto alla revisione delle pensioni, per quanto se ne sia parlato è probabile che Giorgetti deciderà di rimandare a un futuro migliore un intervento che potrebbe costare miliardi alle finanze statali. L’idea delle neoministra del Lavoro Marina Calderone sarebbe quella di adottare una “quota flessibile”, mandando in pensione chi ha tra i 61 e i 65 anni e almeno 35 anni di contributi. Una soluzione un po’ più economica della Quota 41 proposta dalla Lega, ma che significherebbe comunque l’uscita dal lavoro prima del previsto per 470mila lavoratori. Non certo una sciocchezza per le casse previdenziali.
Stesso discorso per la flat tax, della quale neanche si parla più. Ma d’altra parte ormai le elezioni sono state vinte, non è più necessario continuare a baloccarsi con promesse impossibili da mantenere.