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Klimt e l’incredibile splendore

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La prima percezione per un qualunque fruitore della grande fascinazione che la pittura di Klimt riesce a trasmettere è quel grande e sapiente uso dell’Oro. Le sue donne sono immerse nell’oro, incastonate come gioielli, simili a pietre preziose, in un culto che straordinariamente esalta la figura femminile spesso come “femme fatale“, ma con una solennità religiosa che sembra oltrepassare quella sensualità rappresentata secondo le fantasie più decadenti dell’immaginario klimtiano.

Attraverso le immagini di Giuditta, Salomè, Athena, Nuda Verità, Eva, Danae e persino Leda oltre ai numerosi ritratti dell’alta borghesia viennese, Klimt cattura l’aura di un inconfondibile prototipo della bellezza muliebre della Vienna degli anni del declino dell’impero asburgico, con quel segreto seducente di un malinconico palpito che le lega ad un particolare luogo nello spazio e nel tempo. L’artista, figlio di un orefice, ricordava sicuramente momenti dell’infanzia in cui l’oro era memoria di riferimento della sua infanzia con la seduzione di una materia che oltre al potenziale decorativo aveva anche una peculiarità regale.

Questo “stile Aureo” diviene dominante dal 1901 con la Giuditta ed è significativo che proprio nel maggio del 1903 egli andrà a Ravenna per studiare a fondo dal vivo la tecnica del mosaico. Sarà un approdo esaltante e, come scrive alla madre in una cartolina ancora conservata, ne avrà impressioni di “incredibile splendore”. Visitando il battistero Neoniano è dapprima quasi deluso di trovare le pareti cancellate e mute, ma alzando gli occhi alla cupola resterà folgorato dal maestoso mosaico tanto da ritornarvi nel dicembre dello stesso anno, conquistato da quello sfavillio di cui vuole a tutti i costi appropriarsi.

L’oro di Ravenna non sarà solo un semplice fondale ma diventerà elemento compositivo a sé stante nelle sue opere principali e verrà declinato in mille composizioni e varianti fino a divenire cifra caratterizzante della sua arte, Ravenna diventerà un incontro fondamentale che segnerà quel cosiddetto ‘periodo aureo’ che avrà come punto di arrivo la seconda e differente versione di Giuditta II del 1909.

Una tecnica che non consiste soltanto nell’uso preponderante dell’oro puro in foglia o carta dorata ma soprattutto in un uso strutturale che questo riesce ad assumere nella pittura. Infatti come nel mosaico bizantino, l’oro klimtiano riesce a trasfigurare la realtà scolpendo l’immagine in una sublime trascendenza, cristallizzando il soggetto in una distanza e una perfezione che il metallo che evoca gli conferisce.

Questi gioielli che ancora riescono ad affollare le sale dei musei che le custodiscono divengono icone per eccellenza di un preciso momento storico alla vigilia di sconvolgimenti tragici. Quadri capaci di immobilizzarci per alcuni secondi davanti ad una possente forza espressiva dove Eleganza,Decorazione ed Estetica vibrano con seduzioni astratte ormai distanti di un mondo popolato da idoli remoti che ricamano un arabesco opulento e malinconico, prima del fatale colpo che doveva liquidare un’epoca e il suo sogno.

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