Mentre la destra è alle prese con l’incredibile autogol di Donzelli, che si è messo a leggere in aula intercettazioni riservatissime tra Cospito e alcuni boss detenuti con lui (e sia detto tra parentesi, è ora che la Meloni affronti l’inadeguatezza della classe dirigente di FdI), vorremmo fare alcune riflessioni più generali sull’oggetto del contendere, ovvero il regime di 41bis.
Come sanno tutti gli studenti al primo anno di giurisprudenza, infatti, l’esistenza stessa dell’ergastolo ostativo è in contraddizione con il dettato costituzionale, che all’articolo 27 recita “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Lasciamo per ora da parte il concetto, quanto mai difficile da definire, del “senso di umanità”, e concentriamoci sullo scopo rieducativo del carcere.
È evidente che se un uomo viene condannato a trascorrere in galera il resto dei suoi giorni la sentenza avrà un mero carattere punitivo, perché il concetto stesso di rieducazione viene meno se si intende tenere una persona seppellita dietro le sbarre fino alla fine dei suoi giorni.
Vero è che la norma venne approvata in un momento particolare, in cui l’Italia era devastata dagli attentati dinamitardi della mafia e lo Stato si era ritrovato a combattere una vera e propria guerra all’interno dei suoi confini. Quindi una risposta muscolare è stata a lungo considerata una spiacevole necessità. Ma a trent’anni da quei giorni terribili è forse giunto il momento di rivederla, fermo restando che qualunque modifica al regime carcerario dovrà essere fatta senza restituire potere alle cosche.
I sostenitori del 41bis replicano però che la funzione rieducativa è tutelata, in quanto i condannati possono accedere alla liberazione condizionale se collaborano con la giustizia, dimostrando così di essersi “pentiti”. Il problema è che esistono anche detenuti che non collaborano perché ne sono impossibilitati. In alcuni casi perché sotto ricatto dai boss, che minacciano di uccidere i loro cari, in altri perché le loro informazioni sono inutili in quanto i complici che possono indicare sono già stati consegnati alla giustizia. È soprattutto su questo punto che si basa la decisione della nostra Corte Costituzionale, diffusa nell’aprile 2021, di considerare la disciplina dell’ergastolo ostativo “in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
Offrire una possibilità, una via d’uscita – che sia chiaro va meritata – a queste persone è necessario per garantire la costituzionalità di una norma nata come emergenziale e diventata scolpita nella pietra più di qualunque altra norma del codice penale.
Oppure si potrebbe, dimostrando se non altro una brutale schiettezza, modificare l’articolo 27 della Costituzione eliminando i riferimenti alla rieducazione. Fratelli d’Italia sembra voler andare in quella direzione, affermando «la netta volontà di subordinare e limitare la finalità rieducativa della pena» a favore delle esigenze di difesa sociale. Non è detto che non ci riesca: l’attenzione ai detenuti non è mai stata una prerogativa della classe politica italiana, a destra come a sinistra.