Ucraina un anno dopo. La guerra si fa cronica, nel senso che i due avversari stanno raggiungendo il massimo del loro potenziale bellico e non si intravedono passi indietro né da una parte né dall’altra.
Da un lato, la Russia sta dando fondo alle sue capacità di mobilitazione. Dall’altro, l’Ucraina sta ricevendo armamenti sempre più temibili e sofisticati: dai carri armati Leopard e Abrams ai modernissimi sistemi antimissile che stanno inviando Italia e Francia e persino ai jet da combattimento, promessi da Emmanuel Macron a Volodymyr Zelensky, una fornitura che potrebbe suscitare reazioni inconsulte a Mosca.
Oggi il centro nevralgico del conflitto è nella città di Bakhmut, che il presidente ucraino definisce la “fortezza”. Dovrebbe svolgere la stessa funzione strategica che qualche mese fa ha svolto Mariupol: trattenere le forze nemiche e permettere a quelle ucraine di riorganizzarsi per fare fronte all’annunciata offensiva russa.
Le sorti del conflitto sembrano dipendere dall’esito del nuovo attacco che Mosca si appresta a sferrare, non si sa bene quando, ma che tutti prevedono massiccio: la Russia dovrebbe impiegare trecentomila uomini in un fronte più ristretto rispetto a un anno fa, quando ne utilizzò poco meno di duecentomila. Quella che si prospetta è un’offensiva a cuneo, nel corso della quale l’armata di Mosca non dovrebbe mostrare l’ingenuità e l’impreparazione emerse nell’attacco di un anno fa.
Va però aggiunto che, per prevedere gli sviluppi del conflitto in Ucraina, non dobbiamo ragionare solo in termini di masse umane di manovra, missili, carri armati, dispiegamento d’acciaio e di tutto ciò che riporta ai conflitti del secolo scorso, ma anche in termini di efficienza tecnologica, intelligence, satelliti. Non dobbiamo dimenticare che gli ucraini usano le app sul telefono per dirigere il fuoco e che i temibili e devastanti droni sono guidati dall’intelligenza artificiale, tutte cose in cui le forze di Kiev possono vantare un vantaggio competitivo grazie all’appoggio occidentale.
Di contro, i russi sembrano basarsi sulla “carne da macello” da inviare all’assalto. Questo almeno è il racconto dei media filo-occidentali che insinuano anche il fatto che i giovani coscritti russi possano essere mandati all’attacco con discrete dosi di droga in corpo. Difficile distinguere, in questi casi, la propaganda dall’informazione propriamente detta, anche perché fonti di intelligence meno becere fanno sapere che i russi possano recentemente avvalersi di un sempre più cospicuo supporto tecnologico da parte della Cina.
In ogni caso, Mosca sa usare assai bene la sofisticata (e corsara) arma tecnologica degli hacker. Ne abbiamo fatto diretta esperienza proprio ieri con il massiccio attacco informatico che ha mandato in tilt i server di mezzo mondo, Italia compresa. Anche questa, in fondo, è una forma di escalation della guerra in Ucraina, un’escalation che ci coinvolge direttamente. Certo, non è la stessa cosa essere colpiti da un hacker invece che da un missile. Ma questi attacchi sul web stanno a significare che non ci possiamo più permettere (ammesso e non concesso che potevamo farlo prima) di considerare quanto sta accadendo alle porte orientali d’Europa come un fatto remoto. Una tale presa d’atto, per un’opinione pubblica sempre sull’orlo di una crisi di nervi come quella europea, potrebbe rivelarsi quanto mai destabilizzante.
Tornando alla situazione sul campo, il bilancio di un anno di combattimenti ci dice che la guerra in Ucraina sta raggiungendo vertici di crudeltà inauditi. Il conflitto rischia lasciare ferite profonde nei cuori sia degli ucraini sia dei russi, lacerazioni che non basterà neanche l’avvento di una nuova generazione a far rimarginare.
Tant’è che le formule oggi più diffuse tra gli esperti di geopolitica e geostrategia sono assai poco rassicuranti: guerra di lunga durata, guerra di attrito, rischio escalation. Ne consegue che la possibilità di un cessate il fuoco e del relativo avvio di negoziati è al momento una pia illusione, una eventualità remota, una mera ipotesi di scuola. A una pace possibile in tempi ragionevolmente brevi non crede più nessuno, neanche la colomba più convinta.
Putin ha impresso un’accelerazione al conflitto che non gli consente più marce indietro. Ma neanche gli ucraini sembrano disposti a fare concessioni. E questo non solo perché si sentono sicuri dell’appoggio occidentale, ma anche perché le devastazioni subite, la distruzione delle città, il massacro di tanti civili non consentono loro di sedersi a un tavolo con lo spirito di chi è disposto a cedere porzioni di territorio. Le alternative teoricamente immaginabili appaiono improbabili: o, da un lato, un cambio al vertice a Mosca e la defenestrazione di Putin o, dall’altro, una decisa e inequivoca vittoria militare dei russi.
Al di là di quello che potrà essere l’esito dell’imminente (almeno così pare) offensiva russa, lo sbocco più probabile è quello di una guerra di logoramento, magari a intensità decrescente, che potrà andare avanti per anni. Una guerra cronica. Per quello che possiamo oggi prevedere, i falchi continueranno a svolazzare ancora lungo sui cieli d’Ucraina.