Riforma fiscale, finalmente un premier che si ricorda del ceto medio

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Diciamolo subito, non è vero che il disegno di legge per la riforma fiscale del governo Meloni, 21 articoli uno più dirompente dell’altro, favorisce i redditi alti, come lamentato da politici e giornali di opposizione; favorisce semmai chi paga le tasse, ed è una bellissima notizia. In un paese dominato dall’evasione, dove nel 2021 la metà degli italiani non ha dichiarato redditi e appena il 13 per cento dei contribuenti versa il 60 per cento dell’Irpef, la proposta dell’esecutivo di ridurre a tre gli scaglioni fiscali privilegiando chi già paga è una misura straordinariamente equa, e pure sorprendente per un governo che fin qui sembrava essere indifferente alle sorti dei lavoratori dipendenti, che non potendo evadere si sobbarcano la quasi totalità dei versamenti all’erario.

Il progetto prevede la fusione degli attuali due scaglioni centrali, con prelievo al 25 e al 35 per cento, in uno solo, privilegiando chi dichiara tra i 28mila e i 50mila euro l’anno e secondo le prime stime arriverebbe a risparmiare fino a 700 euro l’anno di tasse.

La bozza della riforma, divisa in quattro parti, non si ferma qui e promette in realtà risultati ancora più ambiziosi entro la fine della legislatura, perché l’obiettivo finale è rivoluzionare il rapporto tra gli italiani e il fisco con una vera flat tax per tutti i contribuenti. Stella polare del MEF è, come ha spiegato il viceministro Maurizio Leo, la «razionalizzazione e la semplificazione dell’intero sistema Irpef». Un obiettivo ambizioso, che dovrebbe essere finanziato tagliando il bosco delle agevolazioni, che oggi sono moltissime e distribuite in maniera iniqua e confusa. Le prime verifiche del Mef ne hanno individuate 600, che oggi costano circa 165 miliardi di euro l’anno.

Se è vero che il primo pensiero dell’esecutivo sembra essere stato il ceto medio, va detto che i cittadini più in difficoltà non sono stati dimenticati; è soprattutto per loro che si è proposto di azzerare l’Iva sui beni di prima necessità come pasta, latte e pane, abbassandola poi per un gruppo di beni non indispensabili ma comunque di largo consumo. Secondo le stime di Codacons solo dall’azzeramento dell’Iva si realizzerebbero risparmi annui di 300 euro

Anche l’Irap verrà rivista, o meglio obliterata introducendo una sovraimposta con base imponibile corrispondente all’Ires, la quale a sua volta subirà un restyling; una delle due aliquote beneficerà di una tassazione agevolata per la quota di reddito impiegata in investimenti e assunzioni, incentivando così le aziende che se lo possono permettere a innovare e ingrandirsi.

Tutto bene dunque? Non è detto. Le principali critiche arrivate alla proposta di riforma non si concentrano tanto sui contenuti, tutto sommato condivisibili da tutti, ma sulla sua realizzabilità. Lo ha spiegato senza tanti giri di parole Vincenzo Visco in un’intervista concessa alla Stampa: «è una riforma molto costosa, per la quale non ci sono le risorse». Secondo l’ex ministro delle finanze «Il fisco attuale è evasione di massa, trattamento diverso dei contribuenti a parità di reddito o – nella migliore delle ipotesi – tassazione casuale di alcune tipologie di reddito».

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