Dopo le auto, le case. L’Unione Europea continua la sua opera di “militarizzazione verde” dell’economia, imponendo una riqualificazione coatta degli edifici per renderli più efficienti dal punto di vista energetico e più parchi nelle emissioni. Chi paga? I cittadini, ovviamente.
Secondo la nuova direttiva approvata dal Parlamento europeo entro il 2033 (quindi tra dieci anni appena) le abitazioni dovranno aver già ridotto i consumi mentre entro il 2050 si dovrà raggiungere la neutralità climatica.
L’obiettivo da ottenere entro un decennio è quello della classe energetica D (la scala va dalla A delle case a zero emissioni alla G delle più inquinanti) per tutti gli immobili, da raggiungere obbligando i proprietari a fare i lavori quando vorranno vendere, affittare o ristrutturare l’abitazione.
Considerando che il 74% delle case italiane si trova in una classe inferiore alla D il numero di interventi da effettuare è semplicemente mostruoso; di fatto il nostro Paese dovrebbe diventare un unico cantiere edile di qui ai prossimi due lustri. Un impegno che, tanto per cambiare, colpisce l’Italia più dei nostri partner. Se infatti da noi il 60% delle case appartiene alle due classi peggiori (F e G), in Francia la percentuale scende al 17% e in Germania appena al 6%. La spesa che Parigi e Berlino dovranno affrontare sarà quindi molto minore.
Per l’Italia i conti della serva li ha già fatti l’Ance, l’associazione dei costruttori edili; di qui al 2033 dovremmo investire circa 60 miliardi di euro; circa 40mila euro ad appartamento. E dato che molti italiani non possono permettersi questa spesa è possibile che qualcuno debba rinunciare alla casa di proprietà, la sola vera ricchezza per molti e uno dei pochi dati statistici che ci vedono posizionati meglio della media europea.
Non si può non pensare che questa tassa nascosta sulla proprietà privata possa diventare uno strumento che consentirà a grandi aziende private di impadronirsi del nostro patrimonio immobiliare, finora rimasto saldamente nelle mani degli italiani.
Va detto che finora gli esponenti del governo sono stati molto netti nel rispedire la direttiva a Bruxelles: per Maurizio Gasparri “questa risoluzione in Italia non sarà mai e poi mai applicata”, mentre Maurizio Lupi assicura; “non permetteremo che le case, bene rifugio per eccellenza delle famiglie italiane, diventino terra di conquista di speculatori internazionali”.
Proprio il recente fallimento europeo sullo stop alle auto a benzina entro il 2035, che ha visto l’Italia protagonista del fronte del No, potrebbe dare qualche indicazione su come condurre la battaglia contro l’ennesima crociata verde. Questa volta Roma non può contare su Berlino, che come abbiamo visto non ha alcun interesse a bloccare la direttiva, ma dato che la Commissione presieduta dalla von der Leyen non è troppo lontana dalla scadenza si può sperare di allungare i tempi della discussione fino alle nuove elezioni, che potrebbero vedere l’imporsi di una nuova maggioranza, guidata da Popolari e Conservatori, di sicuro meno incline a inseguire le sirene dell’ecologismo militante.
Se pure questa strategia dovesse fallire è possibile che gli italiani si affidino all’antica arte di arrangiarsi; secondo la direttiva infatti dagli obblighi di riqualificazione sono esclusi i palazzi storici protetti, i monumenti, le chiese e le seconde case abitate meno di quattro mesi all’anno. Non c’è dubbio che in molti si metteranno al lavoro con un po’ di fantasia per far rientrare la loro abitazione in una di queste categorie. Ma prima di vedere salotti provvisti di acquasantiera e palazzine popolari trasformate in musei perché si dice che una volta ci sia passato Alberto Sordi in visita alla zia speriamo che il governo riesca a vincere la sua battaglia in Europa.