New York sta affondando. Fino ad ora si pensava fosse colpa solo del cambiamento climatico, ma una recente ricerca ha dato la responsabilità a diversi fattori che aggravano la minaccia di sparire per sempre, come il peso dei grattacieli.
La metropoli, non oggi, non domani, ma in futuro, rischia infatti l’inondazione.
L’allarme è stato diramato dopo una ricerca pubblicata sulla rivista Earth’s Future che ha stimato il peso dei milioni di edifici newyorkesi: 764 milioni di tonnellate. Questo contribuisce a far sprofondare la città a un ritmo di 1-2 mm all’anno, che raddoppia in alcune zone. “Non è qualcosa per cui andare nel panico immediatamente – ha precisato Tom Parson, il geofisico dell’Us Geological Survey che ha guidato l’indagine – ma è un processo in corso che aumenta il rischio di inondazioni”.
Le cause in realtà sono diverse tra cui la natura del terreno su cui poggia la città, l’estrazione massiccia di acque, minerali e combustibili fossili (soprattutto carbone e gas) dal sottosuolo, per non parlare del peso crescente delle costruzioni a cui andrebbe aggiunto anche il peso complessivo della biomassa umana di circa 9 milioni di abitanti di New York City e tutte le principali infrastrutture che attraversano ed intersecano la città e relativi mezzi di trasporto.
E poi c’è l’oceano, che a causa del surriscaldamento globale si sta alzando ad un ritmo di 3-4 mm l’anno e mette in pericolo il 90% delle costruzioni di New York.
Questo destino drammatico della Grande Mela è in realtà condiviso da altre metropoli costiere del mondo.
Jakarta in Indonesia, Manila nelle Filippine, Chittagong nel Bangladesh, Karachi in Pachistan, Tianjing in Cina, sono solo alcuni esempi di megalopoli che ormai hanno già a che fare con problemi di stabilità delle costruzioni e delle infrastrutture e di inondazioni frequenti.
Ma ci sono anche altre città che non rischiano di essere inondate dal mare, ma stanno comunque sprofondando, come Città del Messico, che lo sta facendo ad una velocità straordinaria di 50 cm l’anno. Alla lista si aggiungono Jakarta che sta sprofondando alla velocità incredibile di 25 cm l’anno, Bangkok in Thailandia alla velocità di 2 cm l’anno, Semarang in Indonesia alla velocità di 2-3 cm all’anno, mentre un’area significativa nel nord di Tampa Bay, in Florida, alla velocità di 6 mm all’anno.
Secondo l’ong Climate Central, entro il 2100 il mare si alzerà di quasi 3 metri a livello globale, coinvolgendo 510 milioni di persone che abitano sulla costa delle terre emerse. Ma non solo, si stima che l’acqua di mare invaderebbe il territorio interno dove attualmente vive più del 10% della popolazione mondiale, creando problemi a infrastrutture strategiche come trasporti, acqua, energia, comunicazioni e all’economia, in particolare al settore agricolo, commerciale e industriale.
Per porre rimedio le Nazioni Unite hanno già parlato di metropoli galleggianti, ma il vero obiettivo che rimane da raggiungere è ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra, quelle che stanno alimentando un drammatico “global warming”, il fenomeno alla base dello scioglimento dei ghiacciai terrestri e che sta facendo aumentare il volume delle acque oceaniche.
Ad oggi è difficile dire come andrà a finire, ma di certo le megalopoli globali sono in estremo pericolo.