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Elly non si è accorta che il problema del Pd è l’alleato Conte

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Il dilemma affrontato in questi giorni dalla sinistra sta tutto in due foto; una finita su tutti i giornali e una da nessuna parte, perché non è mai stata scattata. La prima ritrae Giorgia Meloni e Stefano Bonaccini sui luoghi dell’alluvione in Emilia-Romagna, la premier che poggia una mano sulla spalla del governatore e lui che le sorride un po’ impacciato. La seconda è quella che ritrae Elly Schlein e il suo alleato Giuseppe Conte sul palco di qualche città dove la sinistra è arrivata al ballottaggio delle amministrative.

Ma come abbiamo detto questa foto non esiste, perché il leader del M5S si è rifiutato di fare anche solo un comizio accanto alla segretaria del Pd, lasciandola da sola ad affrontare la corazzata del centrodestra, che ha vinto tutti i comuni più importanti nella tornata delle amministrative del 28 e 29 maggio (Siena, Pisa, Catania, Brindisi, persino Ancona che era sempre stata guidata da un sindaco di sinistra). L’unica eccezione è Vicenza, che però rappresenta una vittoria a metà perché il neosindaco Giacomo Possamai aveva sostenuto Bonaccini alle primarie e ha chiesto alla Schlein di non farsi vedere dalle sue parti prima del voto.

Insomma, quello del Pd è soprattutto un problema di alleanze. I rappresentanti più pragmatici del partito non hanno problemi a cercare intese con la destra al potere a Roma, trovandola più affidabile dell’alleato “naturale” Conte, il quale continua il suo gioco al massacro contro il Pd preoccupandosi di rubacchiare voti invece di coordinare un’attività di opposizione che punti a mettere in difficoltà il governo. Così se il Pd riesce a trovare un accordo con la Meloni sulla ricostruzione, che si è preoccupata di far incontrare la presidente della Commissione europea von der Leyen con Bonaccini e potrebbe dargli l’incarico di commissario per la ricostruzione, è tuttora impossibile trovare un accordo con i grillini, che con le loro posizioni sempre più antieuropee e anti Nato rappresentano più un problema che un’opportunità per la Schlein.

Tanto più che le frecciatine dell’ex premier continuano a colpire la dem molto più spesso di Giorgia. Durante la conferenza stampa post-voto Conte ha infatti polemizzato con la Schlein che si era lamentata della mancanza dell’alleato in campagna elettorale: «Bisogna costruire dei progetti politici, non basta presentarsi in occasione delle elezioni – ha replicato – non è decisiva la partecipazione insieme sul palco per qualche ora, serve una presenza tutti i giorni nei quartieri».

Il problema di Elly è che il Pd è solo; i suoi alleati potenziali, dai cinquestelle al già imploso Terzo polo, sono incompatibili tra loro e sembrano quasi più disposti ad accordarsi con Giorgia che con lei. Lo si è visto in occasione delle nomine Rai, dove i grillini non si sono certo opposti alle operazioni della maggioranza, mentre Calenda e Renzi non perdono occasione di offrire aperture – peraltro non richieste – alla Meloni su misure specifiche.

Con queste premesse costruire un’alternativa seria e credibile a questo esecutivo diventa una missione quasi impossibile. La Schlein non sembra poi poter contare neanche sull’appoggio delle élite del paese, deluse finora da discorsi sulla polemica economica scarsi nella frequenza e nei contenuti, come si è visto durante il Festival di Trento, dove la Schlein ha tirato fuori un discorso piuttosto banale che non è riuscito ad andare oltre una generica lamentela sui ritardi nell’uso dei fondi del Pnrr e una condanna alla precarietà. È vero che, come ricorda Franceschini cercando di fare il pompiere, in fondo mancano quattro anni alle prossime elezioni politiche, ma la traversata del deserto di questo Pd sembra iniziare già con le ruote sgonfie.

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