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Caso Impagnatiello, Meluzzi: «Occhio a delirio di onnipotenza e famiglie patologiche»

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Cosa può spingere le persone ad uccidere? Cosa c’è dietro alla personalità di Impagnatiello? Che ruolo svolge la famiglia in questi casi? Lo abbiamo domandato al criminologo e psichiatra Alessandro Meluzzi.

Partendo dalla personalità di Impagnatiello, davvero può essere definito solo come un narcisista patologico, o c’è un insieme di altri fattori e patologie che potrebbero essere considerati?

«E’ una domanda a cui è difficile dare una risposta senza conoscere il caso specifico. Certamente se qualcuno avesse chiesto o chiedesse di fare un approfondimento sulla sua struttura psichica, sui profili di personalità e sugli aspetti possibilmente psicopatologici, secondo me sarebbe giusto. Ritengo che il ruolo della difesa sia quello di contribuire all’accertamento della giustizia e della verità, in qualsiasi posizione si trovi nel processo. Tutti lavoriamo nella difesa della verità. Per il raggiungimento della verità nel caso di questo soggetto l’evento è talmente clamoroso, mostruoso, innaturale e inquietante, che da questa inquietudine non può che scaturire una domanda di approfondimento. Farei una perizia, nonostante sembri un po’ impopolare, per analizzare la sfera dei moventi. La gente contrariata pensa che quando entrano in campo gli psichiatri, i soggetti come Impagnatiello invece di andare in galera e buttare la chiave vengano messi in qualche comunità. Tuttavia io credo che approfondire i fatti sia sempre utile, bisogna studiare».

Da cosa può essere scaturita la rabbia per arrivare a compiere un atto così estremo come quello di uccidere? Qual è l’elemento che fa arrivare le persone all’ “atto finale”?

«In questi casi la causa è sempre il delirio di onnipotenza. L’onnipotenza ci porta a pensare che siano possibili per noi cose che a volte sono parzialmente possibili o assolutamente impossibili o che possono diventare possibili quando noi calpestiamo la nostra natura. Come succede alle madri che cadono nella trappola del raptus del malinconico, e quindi uccidono i loro figli prima di suicidarsi. Cosa c’è di più impossibile di una madre che uccide i suoi bambini, ad esempio? Ma succede, allora è qui che si inserisce il delirio di onnipotenza. Pensare che quella persona o quell’evento, siano diventati così scomodi per me. Voler sgomberare il campo da questo ostacolo rispetto al mio più o meno delirante progetto di vita. Ritenere che il modo migliore per togliere di mezzo quella persona, quella ragazza o quel bambino, sia cancellarli come se non esistessero. E il modo per cancellare una cosa viva affinché non sia più viva è ucciderla. Questo è stato spesso il movente dell’omicidio».

Quali segnali le donne devono capire prudentemente prima di incappare in queste persone?

«È una domanda che appartiene alla sfera infelice della vittimologia. Studiare la vittima è una cosa sacrosanta perché consente di comprendere alcuni aspetti fondamentali di un delitto. Ma c’è sempre una trappola nella vittimologia: ed è pensare che le cose accadano a qualcuno che se l’è cercata. In questo caso probabilmente la ragazza ha capito in itinere con chi aveva a che fare. Anzi probabilmente ha finito di capire con chi aveva a che fare. Se non si fosse imbattuta in quel personaggio, se non gli avesse dato fiducia, se non fosse arrivata a fare un figlio con lui probabilmente sarebbe viva. Ma certamente questa non è colpa sua».

Un’ultima domanda sulla madre di Impagnatiello. Dopo essersi esposta ed aver definito suo figlio come un mostro, si è scoperta una sua accompagnatrice nel verificare che non ci fossero le telecamere esterne ad averlo ripreso.  Riportando l’attenzione sulla generalità dei casi, quando c’è un figlio con queste problematiche è raro incontrare situazioni dove anche le famiglie sono patologiche?

«Le famiglie spesso sono patologiche. Questa famiglia molto probabilmente aveva degli aspetti patologici e prepatologici di vecchia data? Lo diranno le indagini. Il nostro codice penale non considera, per esempio, la presenza di concorso in omicidio o di complicità nei familiari, perché si dà per scontato che ci sia una forte forma di solidarietà tra un familiare e l’altro rispetto all’esecuzione di un delitto. Come si fa a non pensare che la madre anche di fronte ad un sospetto non sarebbe corsa a denunciare il figlio? E’ chiaro che la ragione ci porterebbe a pensare questo, ma il cuore no. Ed è probabile che il cuore di mamma sia screziato da molti chiaroscuri…»

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