Due o tre anni lavorando part time invece che a tempo pieno, ritardando il pensionamento e senza rimetterci soldi. È questa l’ultima idea del governo alle prese col sempre più complicato cantiere pensioni, che deve essere completato in modo soddisfacente senza rimetterci troppo.
E in effetti la soluzione avanzata dai tecnici del centro-destra sembra l’uovo di Colombo: si propone ai lavoratori di ritardare di 36 mesi la pensione vera e propria, ma si riducono col passare dei mesi le ore passate in ufficio continuando però a prendere lo stipendio pieno (che sarebbe composto per metà di pensione anticipata e per metà di salario). In questo modo si faciliterebbe anche il passaggio di conoscenze alle nuove generazioni, perché il periodo servirebbe soprattutto a formare i nuovi assunti.
L’idea è decisamente nuova per noi, ma è una realtà consolidata nei Paesi scandinavi, che ci piace tanto citare come esempio virtuoso per le politiche di welfare senza mai deciderci a imitarli. In Svezia ad esempio il sistema funziona per i dipendenti pubblici, che a partire dai 61 anni di età possono costruirsi un piano di lavoro part-time (lavorando tra il 10 e il 50% di ore in meno) fino al giorno del pensionamento definitivo, a partire dai 65 anni.
Il vantaggio per il lavoratore sta nel fatto che, durante questo periodo, anche se è già pensionato “a metà” verserà i contributi come se lavorasse ancora full time, e a 67 anni (età in cui si andrà in pensione con la mai abrogata legge Fornero) avrà diritto all’assegno completo. Una bella differenza rispetto alle altre “scorciatoie” previste in Italia, come Quota 103 e Opzione donna, che prevedono una decurtazione anche significativa della pensione. Senza contare che la stessa Quota 103 potrebbe essere rinnovata nel 2024 per l’ultima volta, perché troppo costosa da mantenere.
La proposta sembra inoltre godere di buona reputazione e va nella direzione di rendere più sopportabile il dover ritardare la data del ritiro rispetto a quanto preventivato. Il pensionamento “a rate” ha inoltre il merito di abituare pian piano il lavoratore alla nuova libertà (non sono rari infatti i casi di pensionati disorientati dal passaggio improvviso a un’esistenza del tutto priva degli orari d’ufficio o di fabbrica).
Certo questa opzione richiede che il dipendente sia impiegato in aziende medie o grandi, dove il personale è tanto, mentre non funzionerebbe in quelle da pochi addetti che purtroppo in Italia danno lavoro alla maggioranza dei lavoratori. Ma questo è un problema strutturale della nostra economia che nessun governo ha mai voluto affrontare, sfruttando anzi la retorica del “piccolo è bello” anche mentre i piccoli venivano fagocitati dalle aziende tedesche e francesi, da anni abituate a fare la spesa a casa nostra.
In ogni caso la proposta, se andrà in porto, potrà dare una mano a qualche centinaia di migliaia di italiani e dimostrare che il governo sta facendo di tutto per mantenere le sue promesse. Rinunciando però alla famosa Quota 41, annunciata da Salvini in campagna elettorale anche se già lo scorso anno, quando l’economia andava molto meglio, si era capito che le casse dello Stato non avrebbero mai potuto finanziarla. I 5 miliardi l’anno di spesa aggiuntiva sono stati giudicati decisamente troppi per un Paese che ha ben altre emergenze alle quali pensare.