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È morto Napolitano, il comunista che scalò il Quirinale

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Giorgio Napolitano è morto. Il presidente emerito della Repubblica aveva 98 anni.  Da qualche mese, l’ex capo dello Stato presentava un quadro clinico complesso. Le sue condizioni si sono ulteriormente aggravate durante gli ultimi giorni. Nel maggio dello scorso anno, è stato operato all’addome e ricoverato per nove giorni all’ospedale Spallanzani di Roma.  

Napolitano è stato un protagonista della storia politica italiana dal dopoguerra fino ad anni recenti. Nato a Napoli il 29 giugno 1925, aderì all’età di 20 anni al Partito comunista italiano, attraversando poi le più complesse stagioni della vita nazionale: dalla guerra fredda agli anni della contestazione e poi del terrorismo, dal compromesso storico alle tragiche fasi del sequestro e uccisione di Aldo Moro, dalla cruciale vicenda degli euromissili alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 e all’implosione dell’Urss due anni dopo.

Grazie al suo notevole fiuto politico, riuscì a essere protagonista, a differenza di tanti altri esponenti della vecchia guardia togliattiana, anche della fase post-comunista, partecipando alla fondazione nel 1991 del Pds (Partito democratico della Sinistra), che nel 1998 assunse la denominazione di Ds (Democratici dei Ds). E furono proprio gli ex comunisti dei Ds a dare vita nel 2007, insieme con gli ex democristiani di sinistra della Margherita, al Partito democratico.

Quando il Pci concluse la sua parabola, Giorgio Napolitano aveva 66 anni e nessuno avrebbe mai immaginato che nei successivi 24 anni questo alto dignitario postcomunista avrebbe raggiunto l’apogeo della sua carriera politica. Proprio negli anni Novanta, Napolitano comincia la sua scalata ai vertici istituzionali, ascesa che lo condurrà, nel 2006, a raggiungere la carica di capo dello Stato. Nel 1992 diviene presidente della Camera dei deputati, per poi essere nominato ministro dell’Interno nel 1996, nel primo governo presieduto da Romano Prodi. Nel 2005, l’allora capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi gli conferisce il titolo di senatore a vita. Sarà il preludio per la conquista della massima carica dello Stato. L’uomo politico napoletano sarà rieletto presidente nel 2013, ma si dimetterà due anni dopo: Giorgio Napolitano ha novant’anni e vuole giustamente prendersi il suo meritato riposo.

Nella sua ascesa politica hanno giocato molti fattori, non ultimo il suo essere un comunista “anomalo”, almeno nello stile. Pacato, pragmatico, dal portamento signorile, Napolitano sembra quasi un pesce fuor d’acqua in mezzo all’umanità ad alta tensione ideologica del Partito comunista dei primi decenni del dopoguerra. La sua postura è ben diversa da quella appassionata, polemica e barricadiera di un Giancarlo Pajetta o da quella teoreticamente sofisticata di un Pietro Ingrao. Non viene del resto da una famiglia di sinistra. Il padre, Giovanni, è uno dei più affermati avvocati napoletani, un intellettuale liberale votato anche alla letteratura.

Nulla da stupirsi quindi se Napolitano, insieme con Gerardo Chiaromonte ed Emanuele Macaluso abbia costituito il gruppo dei “miglioristi” in seno al Pci, vale a dire il nucleo degli esponenti comunisti più aperti al dialogo con socialisti e moderati. È però attentissimo a non infrangere mai l’ortodossia togliattiana. Tant’è che, nel 1956, si guarderà bene dal condannare l’intervento sovietico in Ungheria.

La sua posizione “moderata” fa comunque comodo alla dirigenza comunista. Napolitano è tra quelli che aprono prospettive impensabili,  fin0 agli anni Settanta, per il Pci. Nel 1978, durante il sequestro Moro, compie un viaggio negli Stati Uniti per presentare il nuovo volto dei comunisti italiani in un giro di conferenze in università e centri culturali. In quegli anni, tra il serio e il faceto, la stampa italiana gli affibbia il titolo di “ministro degli Esteri” del Pci. È il tempo del compromesso storico e dell’eurocomunismo. Il prestigio di Napolitano è in questa stagione destinato a crescere. Alla morte di Enrico Berlinguer, nel 1983, verrà indicato come possibile candidato alla successione. Ma il partito gli preferirà Alessandro Natta.

La crisi ideologica e politica del comunismoc e i grandi cambiamenti che sono nell’aria già negli anni Ottanta rafforzano  ulteriormente il suo ruolo politico dentro Botteghe Oscure, fino, appunto, alle svolte degli anni Novanta.

Come capo dello Stato, il suo operato si presta a diverse (e per certi versi opposte) letture. C’è chi ne ha elogiato le doti di equilibrio, indicandolo come una sorta di “pilastro” delle istituzioni in un momento particolarmente travagliato. Ma c’è anche chi lo colloca tra gli iniziatori di quella sorta di “commissariamento” della politica partito nel 2011, con la nascita del governo “tecnico” presieduto da Mario Monti, e terminato nel settembre dello scorso anno con la nomina di un premier, Giorgia Meloni, uscito vittorioso, per la prima volta dopo 14 anni, da una competizione elettorale. Non sono pochi quelli che sospettano un suo ruolo, d’intesa con Angela Merkel e gli altri eurocrati, nella crisi politica  che nel 2011  portò alla caduta di Silvio Berlusconi.

Quando Napolitano divenne presidente della Repubblica per la prima volta, nel 2006, affermò che sarebbe stato il «presidente di tutti, non solo di quelli che mi hanno eletto». Non c’è dubbio che in molte occasioni fu così. Ma, in qualche altra occasione, le cose andarono diversamente. C’è materia per discussioni che proseguiranno anche nel futuro.

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