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Gaza, ecco la tattica israeliana per stanare Hamas

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Gaza, l’offensiva israeliana c’è, ma non si vede. Da venerdì sera l’esercito con la Stella di David sta conducendo un’estesa incursione di terra, ma è tutto coperto dal segreto più fitto. Non ci sono immagini né resoconti attendibili. Basterà dire che ieri mattina erano stati segnalati tank israeliani sull’arteria centrale della città, la Sallah-a-din, per poi esserne annunciato subito dopo il ritiro.

L’offensiva è stata “oscurata” fin dall’inizio: linee telefoniche e Internet sono stati subito messi fuori uso, tant’è che non ci sono né filmati né riprese di quello che è avvenuto. Soltanto tra sabato e domenica sono stati ripristinati i collegamenti tra Gaza e il resto del mondo, ma è sempre buio sulle operazioni militari.

A cosa punta quindi Israele? Diciamo che sta facendo l’esatto opposto di quello che negli ultimi decenni è stato fatto, almeno dalle potenze occidentali, nei vari conflitti scoppiati nel mondo, con le immagini dei bombardamenti che spesso finivano  in diretta nei telegiornali della sera. I generali israeliani si mostrano invece assai contrari alla “guerra spettacolo”. Non c’è propaganda da sostenere, c’è solo da sconfiggere un nemico mortale, stanandolo dai cunicoli di Gaza. Questa, a ben vedere, è una guerra per la sopravvivenza stessa di Israele. Che non può fare da bersaglio permanente alle forze che vorrebbero distruggerla.

Se è così, l’invisibilità appare perfettamente funzionale a quella che rappresenta, da sempre, la grande risorsa strategica israeliana: l’imprevedibilità. Proprio grazie all’effetto sorpresa le forze israeliane sono finora riuscite a vincere guerre con eserciti assai più numerosi. «Dobbiamo lottare come un cane pazzo», diceva Moshe Dayan. E quel cane inflisse morsi micidiali nel 1948, all’atto di nascita dello Sato di Israele, e nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni. Nel 1973, durante il Kippur, Israele fu presa di sorpresa dalle forze di Egitto e Siria. Poi però, con una serie di brillanti operazioni militari condotte da Ariel Sharon, riuscì a volgere a a suo favore la situazione che s’era messa inizialmente male.

Ora, nell’offensiva di Gaza, la Tsahal punta a rivoluzionare il tradizionale schema d’attacco. Non più avanzata di carri e gruppi d’assalto in un fronte definito e dopo un bombardamento aereo, ma azioni simultanee da cielo, da terra e da mare (con i lanciamissili) in più punti, a sorpresa, del teatro bellico. L’obiettivo è spiazzare costantemente i vertici militari di Hamas, mantenendoli sempre sulla difensiva e riducendo il più possibile la loro capacità di reazione.

Gaza, al dunque, non dovrà essere la Stalingrado di Israele, con combattimenti casa per casa, con i carri davanti alla fanteria e con il tentativo di occupare progressivamente il territorio: sarebbe un’ecatombe, per le forze israeliane e per la popolazione palestinese. A fare uscire i miliziani di Hamas dai tunnel sotto la città, in blitz sincronizzati con le altre forze, ci stanno pensando i reparti speciali. Agiscono in gruppi da 200 uomini al massimo e sono armati anche di trivelle e sonde telecomandate, oltre che di esplosivi speciali. Di tunnel, ne sarebbero stati già disattivati a decine.

Data la segretezza delle operazioni, non è dato al momento di sapere quali e quanti colpi siano stati effettivamente inflitti ad Hamas da parte della Tsahal. Certo è però che l’assedio ai tunnel di Gaza sarà lungo. Dopodiché comincerà la non facile e non breve fase della definizione del destino della Striscia.

L’ultima cosa che vorrebbero gli israeliani è l’occupazione permanente di Gaza. Sarebbe un’operazione onerosa e dispendiosa, soprattutto in termini di vite umane. Dall’esperienza americana in Iraq i generali della Tsahal hanno tratto un utile insegnamento: si può vincere una guerra e perdere poi la pace. Difficilmente vorranno ripetere lo stesso errore.  

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