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Israele evoca l’incubo atomico? Vediamo perché

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Israele sta per cadere nelle braccia del dottor Stranamore? L’atroce dubbio è stato instillato nell’opinione pubblica mondiale dalle dichiarazioni choc di un ministro di Gerusalemme, Amichai Eliyahu, il quale non ha escluso la possibilità che lo Stato di Israele possa usare l’atomica su Gaza. 

Le improvvide parole del ministro sono state subito stroncate e sonoramente smentite dal governo. Benjamin Netanyahu in persona s’è dissociato da Eliyahu definendo «fuori dalla realtà» la sua affermazione e sospendendolo a tempo indefinito dalle riunioni dell’esecutivo israeliano. Dichiarazioni tanto gravi avrebbero come minimo richiesto una sanzione più grave di una semplice sospensione, come ad esempio la richiesta di dimissioni. Ma ciò avrebbe comportato uno scontro frontale tra il premier di Israele e il partito cui appartiene il ministro, Otzma Yehudit (Potere Ebraico), una delle formazioni che sostengono il governo. E “Bibi” evidentemente non se l’è sentita.

Ma, al di là degli equilibri politici di Gerusalemme, l’affermazione di Eliyahu non può essere liquidata come una innocua spacconata. Dietro quelle atroci parole c’è probabilmente qualcosa di più serio e di più inquietante, su cui è bene riflettere. Che cosa?

Innanzi tutto c’è un dato internazionale più ampio rispetto alla guerra tra Israele e Hamas. E non si tratta di un dato rassicurante. Parliamo della caduta del tabù nucleare che è stato provocato dalla guerra in Ucraina. Ogni volta che Vladimir Putin o qualche alto dignitario russo accennano al fatto che Mosca è pronta a utilizzare «tutti i mezzi necessari» per garantire la sua sicurezza, un brivido corre per tutto l’Occidente (e non solo). Ma è il caso anche di aggiungere che neanche gli Usa sono estranei alla diffusione della paura nucleare, anche se lo fanno in modo indiretto e non attraverso uomini dell’amministrazione Biden. Basta un articolo, dal tono preoccupato, che esce su qualche prestigiosa testata americana a diffondere l’allarme. Così accadde quando, subito dopo lo scoppio del conflitto alle porte d’Europa, il “New York Times” mise in guardia dai pericoli che potevano derivare dalla diffusione delle armi nucleari tattiche (utilizzate nell’ambito di una guerra convenzionale), ordigni più piccoli, ma comunque devastanti. «La loro natura meno distruttiva -si legge sul NYT- può alimentare l’illusione del controllo atomico quando in realtà il loro uso può improvvisamente sfociare in una vera e propria guerra nucleare».

Vale la pena aggiungere che, anche durante la guerra fredda, ogni tanto arrivavano segnali inquietanti sulla possibilità che qualche missile nucleare potesse essere sganciato nell’ambito di una guerra locale, in particolare al tempo del conflitto in Vietnam. È quella che è stata definita la “teoria del pazzo”, cioè la minaccia (più o meno velata) dell’utilizzo di un’arma estrema per intimorire l’avversario e ottenere il massimo risultato politico possibile.

E qui veniamo a Israele, perché, contrariamente a quanto molti hanno sempre creduto, questa spregiudicata forma di pressione politica non fu teorizzata per la prima volta negli Usa, al tempo della presidenza di Richard Nixon, ma ha conosciuto una formulazione ante-litteram proprio nella Israele degli anni Cinquanta, quando lo Stato ebraico doveva cercare la propria stabilità e la propria sicurezza in mezzo al mare ostile del mondo arabo. Tant’è che, al tempo della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, Moshe Dayan era solito usare l’espressione «dobbiamo lottare come un cane pazzo» per incutere paura ai nemici di Israele. Ed è bene anche ricordare che il giuramento dei soldati israeliani è «mai più Masada cadrà», come dai versi del poeta sionista Yitzhak Lamdan. Nome dell’ultima resistenza ebraica contro i Romani, la fortezza di Masada è il simbolo dell’estrema determinazione dello Stato ebraico a non farsi soverchiare dai propri nemici.

Oltre che nell’attuale contesto geopolitico mondiale, le improvvide dichiarazioni di Amichai Eliyahu vanno insomma collocate nelle memorie e nelle mitologie riemerse in Israele a seguito del trauma subìto il 7 ottobre scorso con i massacri compiuti da Hamas.

Nulla di più facile, in questo senso, che Netanyahu abbia “tollerato” le parole del suo ministro (come dimostrerebbe la blanda sanzione a questi applicata)  per far partire da Israele un segnale minaccioso al resto del mondo. E ciò allo scopo di rintuzzare gli attacchi che gli stanno provenendo da ogni parte per la gestione dell’assedio a Gaza.

Il problema è che, una volta che si evocano certi spettri, c’è sempre il rischio di derive pericolose…

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