Nonostante l’antipolitica dominante e il vento anticasta che soffia sempre più forte sul nostro Paese gli italiani hanno ancora fiducia nei partiti politici. E’ quanto emerge dall’ultima ricerca sulle opinioni della popolazione (Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa).
Stando quanto rilevato nel rapporto “Il primo è che, nonostante tutto, per una larga maggioranza della popolazione i partiti sono ritenuti un elemento essenziale per l’esercizio della democrazia: il 66,8% ritiene che senza di essi la democrazia non possa funzionare”. La sfiducia, però, è forte: “I partiti oggi presenti sul mercato politico non soddisfano le aspettative: poco più della metà è interessato alla politica, ma non gli piacciono i partiti per come sono oggi (54,1%). Nonostante la novità della partecipazione via web, l’uno-vale-uno, i partiti leggeri e di plastica, prevale l’idea che un’organizzazione strutturata del consenso e presente sul territorio sia ancora lo strumento più adeguato a far funzionare una democrazia. È interessante osservare come sostengano con maggiore forza questa tesi soprattutto le giovani generazioni (72,7%) e quanti si collochino nell’area politica del centrosinistra (78,6%), mentre all’opposto chi non si posiziona lungo il tradizionale asse destra-sinistra ritenga che le forme partito non siano poi così necessarie (53,1%). Significa che i cittadini cercano nuovi punti di riferimento che sappiano ripensare la forma partito così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.
Come insegna il fenomeno Macron in Francia servirebbe qualcosa capace di tagliare radicalmente il cordone ombelicale con le formazioni politiche legate alle grandi famiglie politiche che hanno dominato il secolo scorso. La domanda essenziale è: cosa significa oggi, in un contesto sociale ed economico profondamente mutato, «destra» o «sinistra»? “L’assenza di un ragionamento preliminare, spinge alla costruzione di movimenti e partiti o fusioni e alleanze fragili, di durata incerta. Così, per una parte cospicua degli italiani (59%) le tradizionali categorie destra/centro/sinistra oggi hanno perso significato, non sono più in grado di aiutare l’interpretazione dei fenomeni, e si ritrovano orfani di orizzonti culturali (e politici) di riferimento. Dunque, alla forma partito, va anteposta una riflessione sulle culture politiche, sui valori di riferimento e sulle loro declinazioni: servono narrazioni nuove e coerenti”.
Insomma, va costruito un rapporto nuovo tra elettori e partiti, va rielaborata la “convenienza” a farsi rappresentare da una determinata formazione politica. “ Il confronto con un’analoga rilevazione avvenuta nel 2015 mette in luce come sia complessivamente aumentato l’interesse verso la politica. Quanti dichiarano d’identificarsi con un partito cresce leggermente (25,3%, era il 17,7% nel 2015) e così pure gli interessati (chi si sente semplicemente vicino a un partito: 27,1%, era il 18,0%). Soprattutto aumentano quanti hanno un rapporto negoziale (31,4%, era l’11,6%): valutano di volta in volta sulla base dei programmi e delle persone a chi dare il proprio voto. Ma, in particolare, diminuiscono fortemente i disillusi (16,2%, era il 52,7%), quanti non trovano partiti vicini alle proprie idee o ritengano non servano. Insomma, i distanti dalla politica. Dunque, l’affievolirsi della disillusione verso i partiti, più che favorire i processi di identificazione, alimenta un rapporto negoziale che va al di là degli schieramenti tradizionali e configura un elettore mobile e selettivo. Che utilizza il voto (e anche il non voto) in modo strumentale, meno di appartenenza”.