Padre di sinistra, figlia leghista. Lezioni di democrazia in casa Borgonzoni

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Di padre in figlio. Di padre in figlia. Nel tramandare la vita, i valori, l’esperienza, gli insegnamenti, i rapporti e le dinamiche famigliari sono fondamentali. E il passaggio tra le generazioni dovrebbe avvenire (almeno sulla carta, fermo restando le naturali frizioni legate alla crescita dei suoi membri) nell’amore, nel rispetto e nell’accettazione dei ruoli. Ma non sempre è così. E così non è, se ad esempio, i padri sono di sinistra e i figli di destra (o viceversa), o quanto meno, i padri sono liberal, radical e i figli populisti, sovranisti.

E cosa avviene? Una rottura, una censura ideologica. In una parola, le idee diventano più importanti della natura e della famiglia.

Questo ha subìto la leghista Lucia Borgonzoni, sottosegretario alla cultura del governo Conte, molto conosciuta nei salotti tv. Il padre, Giambattista Borgonzoni, un rinomato architetto che si definisce “moderato di sinistra”, in un’intervista, l’ha pubblicamente bacchettata.

La vicenda è nota: il sottosegretario era stata invitata a parlare di immigrazione ad un convegno, nel panel anche il vescovo di Bologna Matteo Zuppi.

Oggetto del contendere, ovviamente, le diverse posizioni, oggi incompatibili (si pensi alla chiusura dei porti, le polemiche sulle Ong) tra la Lega di governo e la Chiesa, schierata dall’altra parte.

Quello che avrebbe indignato stampa e lo stesso padre della Borgonzoni sarebbe stato il fatto che dopo aver parlato lei se ne è andata senza ascoltare (almeno per educazione) il discorso del vescovo. Uno sgarbo, immediatamente inquadrato come fascismo, come mancanza di democrazia, xenofobia manifesta e atto di belligeranza nei confronti della Chiesa e dei migranti. Come dire, una conferma del dna leghista.

E il padre della Borgonzoni, a mezzo stampa, non ha mancato di dire la sua, chiedendo scusa al vescovo, ribadendo la sua ostilità verso Salvini, e riaffermando che mai avrebbe votato per la figlia.

Legittima la replica della figlia: “Nessuna polemica col vescovo, sono dovuta andare via semplicemente perché avevo un altro impegno non rinviabile e tutti sono stati avvisati in anticipo. Ma la cosa che mi ha ferita è un’altra. Se mio padre non vota per me è una legittima scelta, ciò che non accetto sono le bugie; ripeto, non sono in polemica col vescovo, è stata una montatura ideologica della stampa. Perché mio padre anziché rilasciare interviste non mi ha telefonato, come avrebbe fatto un qualsiasi padre? Devo convivere con un padre che da quando avevo sei anni ha scelto di non frequentarmi e che dopo tanto tempo ha usato me come palcoscenico”.

Senza entrare nella questione familiare, una cosa è certa: se il tema è la democrazia, la vera intolleranza è esercitata troppo spesso da chi si ritiene l’incarnazione religiosa della verità, dell’etica, della morale, del bene, della libertà, dell’uguaglianza, dell’accoglienza, dell’umanità e che delegittima, demonizza, nega l’esistenza, a chi semplicemente esprime altre idee non in linea col pensiero unico “democratico”, diventando il male assoluto.

Un’attività di bonifica e di epurazione ideologica che non si ferma davanti a nulla e che va dal pubblico al privato, coinvolgendo pure le famiglie. E qui abbiamo, infatti, un padre talmente democratico che espone alle critiche una figlia, rea di pensarla diversamente da lui; una figlia, tra l’altro, se è vera la sua versione, già delegittimata da anni. Una figlia che in questo caso, ha dato una bella lezione di democrazia.

Lei rispetta le sue idee, lui no?

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