Cazzullo no-euro, parla Rinaldi: “Analisi coraggiosa, siamo al bivio”

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“Non c’è molto da festeggiare nel compleanno dell’euro”. A dirlo non è Matteo Salvini, nemmeno Claudio Borghi o un economista notoriamente anti-euro, ma un personaggio decisamente insospettabile, ovvero il vicedirettore del Corriere della Sera Aldo Cazzullo. Rispondendo alle perplessità di un lettore nella consueta rubrica delle lettere il noto giornalista evidenzia come “la moneta unica ha fatto crollare i due pilastri su cui si era retto negli ultimi decenni il nostro (poco virtuoso) sistema di sviluppo: una moneta debole, che facilitava le esportazioni; e una spesa pubblica fuori controllo, con cui i partiti di governo compravano il consenso, spesso incoraggiati dall’opposizione comunista”. E naturalmente una presa di posizione così netta dal vicedirettore di un giornale da sempre di stampo fieramente europeista ha fatto rumore. Lo Speciale ne ha parlato con Antonio Maria Rinaldi, economista e docente universitario, animatore del sito Scenari Economici e da sempre molto critico con la politica monetaria europea.

Cazzullo afferma che sarebbe poco opportuno festeggiare il compleanno dell’euro che ha compiuto vent’anni. Condivide il giudizio?

“Finalmente anche i più convinti sostenitori dell’euro iniziano a capire i limiti della moneta unica e che lo faccia Aldo Cazzullo mi fa molto piacere, trattandosi di un giornalista intellettualmente onesto, che conosco e stimo da anni. Molti iniziano a rendersi conto che l’unione monetaria doveva essere la conclusione di un percorso di effettiva integrazione, e non lo strumento tecnico per arrivare all’integrazione. A distanza di ventisette anni dal trattato di Maastricht, questa non è mai avvenuta. La politica europea erroneamente ha ritenuto che l’euro potesse rappresentare un sistema accelerato in direzione della piena unione. La moneta unica sarebbe dovuta essere la ciliegina sulla torta, invece ha prodotto soltanto disastri”.

Il vicedirettore del Corriere della Sera sembra puntare il dito contro l’ex presidente francese Mitterand, sostenendo che fu lui a volere l’euro nella speranza vana di non dover costringere l’Europa a sottostare alla potenza del marco tedesco una volta riunita la Germania. E’ davvero questa l’origine del male?

“Cazzullo ha ribadito una tesi storica assolutamente veritiera e questo sta a dimostrare la sua comprovata onestà intellettuale. L’euro è il frutto di un compromesso fra la Germania e la Francia. La prima aveva interesse a riunificarsi dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, e la Francia temeva che la ritrovata unità restituisse forza ai tedeschi. Il compromesso trovato da Kohl e Mitterand fu proprio nella moneta unica. La Germania si impegnava ad abbandonare l’amato marco simbolo del riscatto tedesco dopo i disastri dell’ultima guerra in favore di una forte integrazione europea; la Francia da parte sua concedeva il nullaosta alla riunificazione tedesca, nella convinzione di condividere con la stessa Germania e altri Paesi europei una situazione di stabilità”.

Cosa che invece non è avvenuta?

“Direi proprio di no. Mitterand voleva mettere sotto tutela la Germania con il sistema delle regole uniche, ma in pratica si è data ai tedeschi la formidabile occasione di porre sotto il proprio controllo l’intera Europa senza sparare un colpo di cerbottana. La Francia pensava di avere voce in capitolo grazie al sistema delle regole condivise, ma ha finito con l’essere sopraffatta. Perché l’economia non è mai questione di regole e di numeri. Noi italiani ne sappiamo qualcosa. L’economia dipende dalla politica che purtroppo è venuta sempre meno in Europa, finendo con lasciare il campo libero alla dittatura dei meccanismi automatici”.

L’Italia, come rivela Cazzullo è stata quella che ci ha rimesso di più. Colpa della politica italiana incapace di imporsi e far valere regole uguali per tutti?

“Abbiamo aderito all’unione monetaria quando avremmo potuto tranquillamente posticiparla. Prodi e Ciampi, all’epoca al governo, non lo ritennero opportuno perché a mio giudizio del tutto inconsapevoli delle conseguenze cui saremmo andati incontro. Poi c’è un altro aspetto da considerare: mentre dalla caduta del muro di Berlino al momento dell’entrata in vigore dell’euro in Germania ci sono stati due cancellieri e in Francia due presidenti, in Italia abbiamo avuto ben sette premier espressioni delle più diverse alchimie politiche. Nessuno di loro è stato capace di tessere delle strategie convenienti per il nostro Paese. I nostri interventi a Bruxelles erano soltanto classiche foto di rito e pacche sulle spalle”.

Le elezioni europee sono alle porte. Come giudica il fatto che nessuna forza politica sembra parlare più di uscita dall’euro proprio nel momento in cui si stanno certificando i fallimenti dell’unione monetaria?

“Le prossime europee vedranno confrontarsi due fronti: quello di chi vuole continuare sull’attuale linea dell’Unione europea, quella cioè del rispetto delle regole senza alcun tipo di revisione, e quella di chi invece intende dare una seconda opportunità all’Europa con un cambiamento estremamente radicale delle politiche fin qui portate avanti. Dovremo scegliere se continuare ad avere un tutore che ci dica cosa dobbiamo fare e che tipo di manovre mettere in campo, o puntare su chi vuole rinnovare questa Unione che traballa rivedendo le regole a monte sia per ciò che riguarda l’architettura della Ue che quella dell’euro, rimettendo l’economia reale e il cittadino al centro di ogni strategia. E’ evidente che se prevarranno le forze del cambiamento e non sarà permesso loro di riformare il sistema europeo, questo salterà automaticamente. Ci sarà un’implosione che farà crollare tutto e io non me lo auguro di certo. Spero invece prevalga il buon senso perché altrimenti l’euro salterà in aria irrimediabilmente, indipendentemente dal fatto che si parli o meno di uscita in campagna elettorale”.

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