E’ proprio una guerra. Psicologica, culturale, geopolitica. Altro che la nota pugnalata alla schiena di Mussolini, che oltrepassò i confini transalpini di notte, facendoci scendere in campo nel 1940. Inesorabilmente finiti i bei tempi del contributo francese alla nostra unità nazionale, per tutti il ruolo svolto da Napoleone III contro il papa-re, ammorbidito dalle grazie della contessa di Castiglione.
Ormai lo scontro militare non serve più. Specialmente da quando a Roma c’è il governo gialloverde e a Parigi c’è Macron, è stato tutto un fuoco di fila, un crescendo rossiniano. Ricordiamone le tappe: Il 31 marzo 2018, ancora con Gentiloni in sella, a Bardonecchia gli agenti delle dogane francesi hanno fatto irruzione in una sala per identificare uno straniero; il 12 giugno seguente, la nave francese Aquarius con diversi migranti a bordo, per colpa di Salvini che ha chiuso i porti, non è riuscita ad attraccare, e Macron ci ha definiti “cinici”.
Il 12 ottobre a Claviere agenti francesi hanno sconfinato per far scendere alcuni stranieri; l’8 gennaio di quest’anno Di Maio ha appoggiato ufficialmente la ribellione dei gilet gialli, invitandoli a non mollare e offrendo loro la piattaforma Rousseau; il 13 gennaio ci si è messo pure Salvini: “Chiederò a Conte di scrivere a Macron per restituirci altri delinquenti dopo Battisti, che ci hanno tolto vite umane”. Infine, il 20 gennaio, Di Maio, supportato dal redivivo Di Battista, ha sostenuto che la Francia sfrutta l’Africa e che deve essere sanzionata dalla Ue. Accusa cui si è aggiunto pure Salvini.
Inutile ricordare le risposte piccate e arroganti dei francesi, dei governanti, dei ministri, dello stesso presidente (“Fate pulizia in casa vostra” è la più leggera), rafforzate dai loro referenti a Bruxelles (Moscovici in testa). Al punto che, qualche giorno fa, è stato richiamato l’ambasciatore in Italia “per opportune comunicazioni”.
Ma il punto non è il rapporto di amore-odio tra italiani e francesi, che biologicamente da cugini, non si sanerà mai.
Il punto è capire che tipo di Europa si vuole: a guida franco-tedesca, alleata delle lobby e dei rigoristi alla Monti (una Ue confermata ieri dall’incontro a due tra Macron e la Merkel), o un’Europa più sociale e solidale, versione mediterranea.
La questione ulteriore, a proposito di Francia, è approfondire le ragioni della famosa guerra alla Libia, che ha significato la perdita dell’egemonia italiana, e il definitivo decollo dell’influenza francese.
Ora la Francia, questo è il vero focus, sta controllando gran parte della regione africana, e molti economisti stanno dando ragione alle accuse di Di Maio. E’ la verità.
Il suo vulnus ruota intorno al cosiddetto “franco Cfa”, che secondo gli esperti, sta affamando le popolazioni. Prima era legato al franco francese, ora all’euro, costringendo le popolazioni locali ad un doppio cambio estremamente svantaggioso per la loro economia e il tenore di vita.
Sono 14 paesi infatti, che oggi fanno parte delle “Comunità francesi d’Africa”, tra ex colonie e Stati federati, vicini e amici, e il loro tasso fisso è di 655,957 franchi Cfa per 1 euro. “Nazismo monetario” per Nicolas Aghohou, professore di economia ivoriano all’Università francese.
La domanda è questa: al di là della suscettibilità francese, è vero o falso quello che ha detto Di Maio? I francesi se ne facciano una ragione.