Le coalizioni politiche stanno implodendo. In questa stagione emergono nuove, sorprendenti coppie. C’è l’asse Letta-Meloni, da una parte, e quello Conte-Salvini, dall’altra. Le motivazioni ufficiali di queste strane convergenze sono certamente di alto profilo: la politica dell’Italia sulla guerra in Ucraina. Ma c’è anche dell’altro, decisamente più terra terra.
Le posizioni sono note. All’asse atlantista costituito da Enrico e Giorgia si contrappone quello “pacifista”, chiamiamolo così, di Giuseppe e Matteo, i quali non perdono mai occasione per incalzare il premier Draghi: si impegni per contribuire a un negoziato possibile invece di promuovere l’invio di armi a Kiev. «In Usa porti pace, non armi», aveva intimato, qualche giorno fa, il leader della Lega al presidente del Consiglio in volo per Washington. Da parte sua, il presidente del M5S ha fatto trovare a Draghi, al ritorno dalla trasferta negli Usa, la richiesta di un dibattito in Parlamento sulle armi, spingendosi al punto di chiedere direttamente aiuto a Salvini: «Auspico fortemente che la Lega o altre forze si uniscano a questo cammino».
C’è, come sfondo storico a queste prese di posizione, la crisi dell’ordine mondiale così come l’abbiamo conosciuto fino a oggi e il dissenso rispetto al tentativo americano di rifondare la sua egemonia attraverso il rilancio del vincolo atlantico.
Si tratta di motivazioni idealmente e moralmente fondate. Ma qui finisce l’alto profilo dell’asse Conte-Salvini. Perché il resto è puro calcolo politico, se non piccolo cabotaggio pre-elettorale. A saldare realmente la rinnovata amicizia tra Matteo e Giuseppe è infatti il settimanale borsino dei sondaggi, con la coppia Letta-Meloni solidamente in testa di parecchi punti sui rispettivi alleati-rivali. L’ultima rilevazione, di Supermedia Agi/Youtrend, vede FdI al 21,5% e la Lega al 15,9. A sua volta, il Pd sopravanza il M5S di otto punti, ottenendo il 21,3 % a fronte del 13,3 dei pentastellati.
Sia per Salvini sia per Conte sono dati drammatici. Se, da un lato, Matteo vede allontanarsi il sogno, a lungo accarezzato, della premiership per conto del centrodestra, per Giuseppe, dall’altro, c’è la difficoltà di tenere insieme un movimento che pare costantemente sul punto di implodere e che constata l’inesorabile dissanguamento dovuto alla politica governista.
Di qui la necessità di alzare i toni, di marcare la differenza con l’alleato-rivale. Nel caso di Salvini, il fastidio si traduce in una vera e propria politica del dispetto, come nel caso recente dello sgambetto della Lega a FdI sulla proposta di legge sul presidenzialismo, saltata alla Camera per le assenze determinanti di deputati leghisti e anche di deputati berlusconiani. E Salvini si appresta ora a rendere la pariglia alla Meloni, che aveva osato tenere la convention FdI a Milano, patria del Carroccio, facendo svolgere, sabato 14 maggio, un analogo evento a Roma, patria a sua volta di FdI. Per non parlare delle elezioni siciliane, dove sia Lega sia Forza Italia si rifiutano di appoggiare il presidente uscente, Nello Musumeci, candidato da Giorgia Meloni…
Tutto questo accade mentre, sul fronte del centrosinistra, si svolge il braccio di ferro tra M5S e Pd sul termovalorizzatore di Roma, fortemente voluto dal sindaco Gualtieri e dai piddini quanto fortemente osteggiato dai pentastellati. E vale anche la pena ricordare che ultimamente Conte si è avvicinato al centrodestra sulla questione del catasto, dichiarando che il «M5S non permetterà mai una nuova tassazione sulla casa».
Come andrà a finire? Riesce difficile immaginare che centrodestra, da una parte, e campo largo, dall’altra, possano entrambi andare alle elezioni politiche, il prossimo anno, con un minimo di unità interna. Ed è per questo che tornano a farsi sentire le sirene del proporzionalismo, con l’eventuale adozione del sistema tedesco che prevede lo sbarramento al 5%.
Sarebbe la fine della politica come l’abbiamo conosciuta negli ultimi trent’anni, nel senso della competizione elettorale imperniata su coalizioni contrapposte. Ognuno correrà per sé e poi si vedrà? Se la politica bipolare non funziona più, è il caso –per molti- di cambiare schema di gioco.
Favorevole al mutamento del sistema elettorale e all’abbandono del Rosatellum è il M5S, che ha tutto l’interesse a recuperare consensi tenendosi le mani libere.
I meno interessati al proporzionale sono sia la Meloni sia Salvini: difficilmente Mattarella darebbe l’incarico di formare un governo di ampia ed eterogenea coalizione alla leader di FdI o al segretario della Lega. Giorgia e Matteo sono, al dunque, obbligati a siglare la pace. Ma più passa il tempo, più aumenta il rischio che arrivino sfiancati alla competizione elettorale, così da risultare poco credibili all’elettorato.
Il futuro prossimo della politica italiana è appeso a sottili calcoli di convenienza. A destra come a sinistra. O, per meglio dire, a quello che ne rimane.