Giorgia fa marcia indietro ma sul Pnrr non aveva tutti i torti

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Alla fine Giorgia Meloni ha preferito evitare le polemiche, rimangiandosi le accuse al governo Draghi sugli “evidenti ritardi” accumulati dall’esecutivo uscente nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Lo ha fatto perché sa che non le conviene aprire un fronte con Super Mario, tuttora l’italiano più ascoltato nelle cancellerie europee, ma pure perché il suo governo, alla faccia della vittoria politica, si appellerà a tecnici molto vicini all’attuale premier per coprire i ministeri che contano.

Eppure la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza illustrata questa settimana in consiglio dei ministri dimostra che la leader di Fratelli d’Italia tutti i torti non li aveva. Entro la fine del 2022 l’Italia avrà infatti speso circa 21 dei 29,4 miliardi messi a disposizione. Finora ne sono stati utilizzati meno di 12, concentrati tra l’altro su progetti che erano già avviati, contando sul fatto che il 2022 è stato considerato un “anno zero”, da impiegare soprattutto per pianificare gli interventi. Di sicuro alcuni ritardi ci sono stati, e per onestà va detto che non si possono attribuire a inefficienze da parte di Palazzo Chigi. Molti cantieri non sono infatti partiti, o lo hanno fatto in ritardo, soprattutto a causa dell’aumento del costo delle materie prime. In ogni caso il programma Next Generation EU prevedeva fin dall’inizio che gli anni cruciali dal punto di vista della spesa sarebbero stati il 2024 e il 2025, nel pieno – a meno di disastri – del governo Meloni. Nel primo anno andranno spesi 46 miliardi, nel secondo quasi 48. E andranno ovviamente utilizzati solo in investimenti, quindi ci sarà bisogno di portare a termine bandi pubblici come in Italia non se ne vedono da decenni. A oggi risultano partite ben 334 procedure tra appalti e bandi vari; un lavoro pauroso che, se effettuato male, potrebbe segnare la definitiva discesa del nostro Paese tra le economie di serie B.

La Meloni, che ogni giorno che passa appare allo stesso tempo più determinata e più preoccupata, sa che la sua parte politica non ha in questo momento la fiducia dei mercati, indispensabile per tenere dritta la barra dei conti pubblici mentre le ingenti risorse vengono dirottate in investimenti che aumentano nel breve e medio periodo il nostro già enorme debito pubblico. Se Moody’s ha già minacciato il taglio del rating in caso di crescita al di sotto delle aspettative, ora è toccato a Fitch mostrare gli artigli al futuro governo anticipando che non verranno concessi sconti e cantando le lodi del precedente governo: «Il prossimo esecutivo erediterà una situazione di bilancio più forte del previsto, ma il rilancio della crescita, anche attraverso un’efficace applicazione dei fondi del Next Generation Eu, resta centrale per una riduzione duratura del debito pubblico». Come se non bastasse, l’agenzia di rating ha rimarcato che il raggio d’azione per modificare il PNRR è limitato. Di fatto la Meloni si ritrova commissariata ancor prima di aver ricevuto l’incarico dal Presidente Mattarella. Però, da donna pragmatica qual è, invece di lanciarsi in proclami e invettive contro i mercati cattivi e l’Europa matrigna come avrebbero probabilmente fatto i suoi colleghi di maggioranza, per ora sta stringendo i denti mostrando una capacità di dialogare con Draghi che però non si risolve in una semplice accettazione dei suoi consigli.

La via scelta dalla Meloni è stretta e difficile, ma è l’unica che potrebbe consentirle di varare un esecutivo in grado di guadagnarsi la fiducia dei nostri creditori e di consentirle, tra qualche mese, quando avrà dimostrato che il suo governo non è composto né da estremisti né da incompetenti, di dare l’impronta desiderata alla sua azione politica. Solo se riuscirà in questo difficile esercizio avrà dimostrando di essere una vera leader. Vincere le elezioni in Italia non è difficile – basta guardare a certi recenti campioni di preferenze poi finiti nella polvere –; la vera prova arriva ora.

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