Vuoi vedere che ora l’autista-complice-geometra Andrea Bonafede diventa magicamente l’erede di fatto di Matteo Messina Denaro, anziché semplicemente un suo dipendente-famiglio?
La motivazione dell’arresto sembra non lasciare dubbi: “Un affiliato riservato che gli ha permesso di comandare ancora”.
Ma il messaggio che si coglie (e che va colto) è che lo storico latitante fosse da anni un re che regnava soltanto, mentre il vero Bonafede governava realmente.
Una dualità interessante, anzi diremmo, una perfetta sovrapposizione: Messina Denaro in questi anni è stato Andrea Bonafede e il vero Andrea Bonafede è stato Messina Denaro.
Una percezione oggettiva, frutto di una strategia comunicativa studiata dall’alto e dovuta.
Cerchiamo di mettere insieme i pezzi.
Già nelle ricostruzioni relative alla discussa cattura del boss (si è lasciato prendere, è stato scaricato, ha trasmesso prima il testimone a qualcun altro?), stava emergendo che lui, in realtà, non era e non è, il capo della Mafia, ma semplicemente un feudatario locale (il suo regno nel trapanese), sicuramente con importanti relazioni internazionali, appoggi massonici e non solo, in possesso di documenti pericolosi ereditati e quindi, capace di esercitare un potere ricattatorio verso le istituzioni, specialmente quelle maggiormente coinvolte in alleanze e patti inconfessabili, scambi di favore, riguardo i momenti più bui della storia repubblicana.
Già le istituzioni hanno recuperato in extremis una figuraccia trentennale circa la sua latitanza (del resto sulle latitanze lunghe, in buona compagnia, con Riina, Bagarella, Brusca), a questo punto la svolta, l’inversione giudiziaria, specialmente per l’immagine dello Stato, ci doveva essere.
E come se non bastasse (altre figuracce), ogni covo già svuotato stava dando, come ha dato, l’impressione di una resa concordata.
Ecco che allora un capro-espiatorio doveva essere trovato. Certamente Andrea Bonafede, ha appartenenze consolidate (a partire dal padre, don Ciccio), in questi anni è stato organico al boss, addirittura prestando la sua identità, diventando una sorta di suo alter ego.
Ma l’aver acquistato per conto terzi una macchina o un paio di appartamenti, ne fanno un capo globale?
Per ora di certo è che il castello omertoso si starebbe sgretolando: si scoprono spese fatte dal boss in negozi, con dovizia di particolari (26 euro e 61 centesimi per carne, birra e saponi vari), pizzini tecnici, avvistamenti presso varie strutture sanitarie, traslochi e passeggiate e vacanze al mare.
Vediamo gli sviluppi nei prossimi giorni, ma ciò che conta è se parla, se rivela i misteri, e se si trovano le famose carte: ma su questo dubitiamo fortemente.
La sensazione che si ha è che si tratti di una partita con tanti, troppi, pupari.