Russi cacciati da Auschwitz, ma la storia non si cancella e riserva sorprese

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Il museo di Auschwitz ha escluso la Russia dalla cerimonia per il 78esimo anniversario della liberazione da parte dell’Armata Rossa, il 27 gennaio del 1945, del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau.

Lo ha annunciato il portavoce del sito museale Piotr Sawicki motivado così la decisione: “Data l’aggressione contro l’Ucraina libera e indipendente, i rappresentanti della Federazione Russa non sono stati invitati a partecipare alla commemorazione. Era ovvio che non potessi firmare alcuna lettera all’ambasciatore russo con un tono invitante, dato il contesto attuale. Spero che cambierà in futuro, ma abbiamo ancora molta strada da fare”. Il portavoce ha spiegato che “ci vorrà poi del tempo affinché Mosca faccia un autoesame molto profondo dopo questo conflitto per tornare ai raduni del mondo civilizzato”.

Insomma, i sovietici (e non c’erano solo i russi nell’Armata Rossa) che hanno cacciato i nazisti dalla Polonia e dall’Est Europa e hanno liberato i campi di concentramento mettendo in salvo i pochi sopravvissuti, sono esclusi dalle cerimonie, mentre la stessa Polonia che ha subito le più violente persecuzioni da parte dei tedeschi oggi è alleata della stessa Germania al fianco dell’Ucraina e contro Mosca. Corsi e ricorsi della storia è proprio il caso di dire, un paradosso davvero assurdo; certo, dalla seconda guerra mondiale ad oggi la storia è cambiata, il muro di Berlino è caduto, l’Unione Sovietica si è dissolta, il comunismo è morto e sepolto e i Paesi dell’Est Europa sono tornati liberi, entrando a pieno titolo nel consesso delle democrazie occidentali: ma ciò non toglie che la storia è storia e non si può cancellare.

A stupire di più è poi il fatto che la decisione sia arrivata da parte dell’Istituzione museale che proprio perché delegata a tenere vivo il ricordo dell’olocausto dovrebbe essere estranea a logiche di divisione e di parte e favorire la più ampia condivisione intorno alla memoria collettiva. E dovrebbe tenere la memoria proprio al riparo da interessi politici o geopolitici di altra natura.

E allora non si può in tutta onestà celebrare il Giorno della Memoria escludendo chi, piaccia o no, ha contribuito a liberare mezza Europa dal giogo nazista e ha messo fine all’orrore dei campi di sterminio. Non si può ignorare che l’Europa dell’Est è stata liberata dall’Armata Rossa che il 27 gennaio del 1945 è entrata ad Auschwitz-Birkenau scoprendo e documentando l’orrore dei campi di concentramento. Poi certo, per i quei Paesi è iniziato il lungo periodo del totalitarismo comunista, ma questo è un altro pezzo di storia che non ha nulla a che vedere con il Giorno della Memoria e con il ruolo dell’Unione Sovietica nella sconfitta del nazismo. E per quanto si possa considerare l’aggressione della Russia all’Ucraina un crimine, è decisamente improponibile ritenere oggi i russi indegni di partecipare alle celebrazioni, quasi mettendoli sullo stesso piano dei nazisti di ieri.

Stupisce poi il silenzio compiacente di tanti intellettuali di sinistra e giornalisti che per anni hanno ritenuto un vanto il fatto che l’Armata Rossa avesse sconfitto i nazisti e liberato Auschwitz, opponendosi ai tentativi della destra di mettere sullo stesso piano nazismo-fascismo e comunismo, e che oggi vedono nella Russia il male assoluto.

Del resto non è da oggi che in Polonia e nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, finendo con la stessa Ucraina, si sta facendo di tutto per cancellare le tracce del passato comunista, anche abbattendo monumenti dell’Armata Rossa che celebravano appunto la vittoria sui nazisti. E se è stato legittimo per quelle popolazioni combattere per affrancarsi dal totalitarismo comunista, meno legittimo è il tentativo di riscrivere la storia cancellando il ricordo di chi ha sconfitto i nazisti responsabili delle deportazioni e dello sterminio di sei milioni di ebrei. E questo al di là del giudizio negativo sul comunismo e sui suoi tanti esecrabili orrori. Ma per i sopravvissuti di Auschwitz-Birkenau l’emblema della salvezza è stato rappresentato dalla stella rossa dell’esercito sovietico.

Ma non è tutto, perché la storia riserva anche delle sorprese. Un articolo pubblicato da Il Faro di Roma ricorda che “la prima unità ad entrare nel campo di Auschwitz-1 era comandato dal maggiore Anatoliy Pavlovych Shapiro che fu il primo ad aprire i cancelli del campo di sterminio salvando i 7.000 prigionieri ancora in vita, tra cui la senatrice a vita Liliana Segre, deportata il 30 gennaio 1944 assieme a suo padre, assassinato dai nazisti il 27 aprile 1944. Il maggiore Anatoliy Pavlovych Shapiro per un’altra ironia della sorte era un ufficiale ucraino ed ebreo dell’esercito sovietico”. Personaggio difficilmente celebrato in patria dove il nazionalismo ucraino ha portato negli ultimi anni ad un forte revisionismo storico e all’esaltazione del passato filo-nazista, grazie soprattutto al potere assunto dai fanatici anti russi del Battaglione Azov.

Forse, come è stato sottolineato da più parti, proprio il Giorno della Memoria poteva essere l’occasione giusta per unire e riscoprire l’importanza di una memoria condivisa intorno al dramma del popolo ebraico. Poteva servire come messaggio di pace e di unità, come momento in cui unirsi nella condanna delle violenze e degli orrori. E avrebbe avuto un significato ancora più dirompente proprio nelle ore in cui la tensione internazionale sta salendo in maniera preoccupante, con l’invio dei potenti armamenti occidentali all’Ucraina e le nuove minacce della Russia. Poteva essere l’occasione per fermarsi tutti insieme a riflettere, e magari proprio nella comune volontà di non ripetere gli orrori del passato tentare la ripresa di un negoziato. Invece si è scelto il Giorno della Memoria per dividere ancora di più, negando addirittura ai russi il diritto di partecipare alla commemorazione di un evento che li ha visti protagonisti. Un’occasione di pace è stata persa dando un pugno alla storia. 

 

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