Ormai la protesta iraniana del velo è diventata un fuoco inarrestabile. Per i difensori del regime teocratico è il frutto di una strategia esterna che, facendo leva sui diritti civili, mira in realtà, a cambiare un modello non solo statuale, ma anche geopolitico vicino a Mosca.
Il solito discorso della guerra per conto terzi. Lo abbiamo già visto a proposito della lotta all’Isis: da una parte, i paesi sunniti del Medioriente, alleati degli Usa; dall’altra, i paesi a maggioranza sciita, più la Siria, alleati della Federazione russa.
Gli Americani, come noto in Occidente, pilotano sistematicamente rivoluzioni formalmente moralizzatrici, antipolitiche, anti-corruzione, per favorire poi, l’insediamento di nomenklature politiche ed economiche più in linea con i loro interessi. Un giorno, per quanto ci riguarda, uscirà la verità sulla regia occulta di Tangentopoli e dei grillini, e sulla scomparsa politica e umana di antagonisti tosti e pericolosi (focus: le scelte internazionali non coerenti con la guerra fredda, le fonti energetiche etc), come Mattei, Craxi o Berlusconi: altro che vizietti sessuali, altro che protagonismo imprenditoriale o istituzionale da colpire. Stiamo parlando della “sindrome-Sigonella” e della nostra sovranità limitata.
Ma al di là di tali congetture, la rivolta del velo, ad opera di giovani, in primis, delle donne, e le seguenti impiccagioni comminate dal regime di Teheran, dimostrano sia la centralità futura delle nuove generazioni (a differenza degli adulti, troppo passivi), che dietro gli oggetti e i gesti, manifestano per la libertà, sia la debolezza di un regime arrivato allo stremo.
Ma queste donne, questi ragazzi, si rendono conto che sono figli e nipoti dello Scià Reza Pahlavi? Stiamo parlando del trono del Pavone, crollato nel 1979, con l’avvento della Repubblica islamica di Khomeini.
E’ utile ricordare, infatti, che la monarchia dei Pahlavi è stata sì, supportata dagli Usa, in un secondo tempo addirittura con un golpe contro Mossadeq (l’assertore delle nazionalizzazioni), ma stava lavorando pure a una “terza posizione” culturale, sociale e costituzionale, molto interessante. Un’idea di società che andava oltre il capitalismo e il marxismo.
Si chiamò allora, “La rivoluzione bianca dello Scià e del popolo”, articolata in 10 punti e che prevedeva, tra l’altro, il riferimento a un’identità tradizionale e religiosa precedente l’islamizzazione dell’Iran (l’impero persiano. Fu celebre l’enorme kermesse organizzata a Persepoli, alla presenza dei grandi del mondo); prevedeva la legione del sapere, ossia l’alfabetizzazione del popolo, l’emancipazione della donna, lo spezzettamento del latifondo (osteggiato per ragioni opposte, dal partito comunista e dagli Ayatollah, grandi latifondisti terrieri), e cosa non da poco, l’azionariato operaio e la partecipazione agli utili nelle fabbriche.
Una rivoluzione integrale e assolutamente originale che non avrebbe trovato eguali in Medioriente, terra di conquista del capitalismo internazionale (lo sfruttamento del petrolio), terra dell’avanzante fondamentalismo islamico e della penetrazione comunista, con qualche isolato modello indipendente, come il partito Ba’th iracheno o l’Egitto di Nasser.
E’ ovvio che l’attuale movimento di protesta laicista abbia avuto un’origine specifica. Quel tentativo di modernizzare l’Iran da parte dello Scià ha preparato un processo che gradualmente ha seminato nella coscienza collettiva.
C’è solo un problema: i giovani in piazza, non lo sanno o lo sanno poco. E la monarchia la conoscono solo per come è stata raccontata loro dai padri, dai nonni: o in modo ostile, per l’eccessiva dipendenza dagli Usa, o per l’autocrazia stessa dello Scià che, con la sua polizia, specialmente negli ultimi tempi, divenne brutale, avviando una repressione terribile nei confronti delle opposizioni.
Proprio su questo sta lavorando da mesi Reza Ciro, l’erede (dopo un esilio in Africa, vive da molto negli Usa). Un sempre maggiore attivismo, una sempre maggiore visibilità, fatta di messaggi, viaggi, incontri. Gode di molte simpatie presso gli esuli iraniani, fuggiti ovunque: in America, in Europa. E nelle manifestazioni davanti alle ambasciate europee cominciano a vedersi le sue foto.
E in primis, un impegno a rinnovare la monarchia, che lui ritiene essere l’unica garanzia di progresso, libertà e unità del Paese.
E in effetti, all’opposizione manca un elemento federatore capace di aggregare le varie anime anti-teocrazia.
Ci riuscirà? Per ora si è candidato a essere il mediatore della transizione. Poi, si vedrà, sarà la storia a dirlo.