Uccide il marito a coltellate, Bruzzone: “Tutto molto strano. Cosa non torna”

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Non è ancora del tutto chiara la dinamica alla base dell’omicidio consumatosi a Nuvolento, comune del Bresciano, dove Raffaella Ragnoli, 56 anni, ha ucciso con un coltello da cucina il marito, Romano Fagoni, 59 anni, colpendolo più volte. La donna si è difesa sostenendo di aver agito nel contesto di una lite familiare e soprattutto per proteggere il figlio 15enne che il padre pare volesse aggredire. E’ stato il figlio stesso a lanciare l’allarme e a chiamare i soccorsi. Gli inquirenti però al momento hanno escluso l’ipotesi della legittima difesa e hanno contestato alla donna l’omicidio volontario. Ora sarà decisiva la testimonianza del figlio che ha assistito alla tragedia e che potrà meglio chiarire la dinamica dei fatti. Ne abbiamo parlato con la criminologa Roberta Bruzzone.

La convince la tesi difensiva della donna che sembrerebbe in parte confermata dalla testimonianza della figlia maggiore, non presente in casa al momento del delitto, ma che ha descritto il padre come autoritario?

“Abbiamo pochissime informazioni al riguardo, dobbiamo attendere gli sviluppi delle indagini, ma mi sembra molto difficile in questo contesto ipotizzare la legittima difesa da parte della moglie”.

Quindi hanno ragione gli inquirenti a contestare l’omicidio volontario?

“Allo stato attuale, e in assenza di elementi nuovi, direi proprio di sì. La donna non sembra presentare sul corpo segni che possano far ipotizzare la necessità di una difesa così estrema e nemmeno il figlio sembra averne. Ora sarà importante ascoltare la testimonianza del ragazzino che comunque gli inquirenti hanno già sentito, ma una legittima difesa di fronte a sei coltellate inferte per giunta negli organi vitali mi sembra oggettivamente molto difficile da dimostrare”.

Quindi ammesso che ci sia stata effettivamente una lite in famiglia, cosa sarebbe stato necessario per dimostrare di aver agito a scopo difensivo? La paura di essere aggrediti non è sufficiente?

“Ci deve essere una proporzione oggettiva fra l’aggressione subita e la reazione difensiva. Se qualcuno tenta di uccidermi e io ho riscontri evidenti della colluttazione sul corpo, è ovvio che la proporzione ci sta tutta. Ma se vengo minacciato con un coltello e rispondo sparando con un kalashnikov, in questo caso la proporzione è ovvio che non ci sia”.

Quindi anche se il figlio confermasse che effettivamente era in corso una lite in famiglia e l’uomo li aveva minacciati, la legittima difesa sarebbe comunque difficile da dimostrare?

“Una lite non può giustificare una risposta violenta di quel tipo, non basta una minaccia per poter dire di aver agito per legittima difesa sferrando sei coltellate addirittura alla gola. Poi bisogna capire che tipo di lite si stava verificando; verbale o fisica? Se era soltanto verbale allora non c’era alcun motivo di prendere il coltello e ammazzare l’uomo, se era fisica allora ci dovevano essere comunque delle tracce di violenza. Ora vedremo che sviluppo avranno le indagini, ma da quello che sappiamo mi sembra che in questo caso non si sia andati oltre le parole. Segni di aggressione sul corpo della moglie e del figlio al momento sembra non siano stati riscontrati. Se questo aspetto sarà confermato penso ci sia davvero molto poco da discutere”.

Abituati come siamo a raccontare casi di femminicidio fa un certo effetto trovarsi di fronte ad un omicidio a parti invertite, con l’uomo nella parte della vittima. Quanto sono frequenti casi di questo tipo e quali sono in genere le cause?

“Iniziamo con il dire che sono molto basse le statistiche che riferiscono di omicidi commessi da donne nei confronti di mariti o compagni. Nella maggior parte dei casi si tratta di donne vittime di violenze che agiscono per difesa o anche per esasperazione. Ci sono stati casi di donne che dopo aver subito ripetuti maltrattamenti fisici, psichici e di altra natura, sentendosi in pericolo hanno reagito in maniera violenta e distruttiva eliminando quello che ritenevano essere una minaccia. La legittima difesa va comunque sempre contestualizzata, ci devono essere i presupposti per poterla invocare. Certo, se una donna subisce ripetute violenze e queste violenze possono mettere in pericolo la sua vita questo aspetto va sicuramente considerato e può costituire un’attenuante importante. Se per ipotesi fosse dimostrato che effettivamente in questa famiglia c’era una situazione del genere, allora la posizione della moglie potrebbe cambiare e si potrebbe anche discutere di legittima difesa; ma deve essere dimostrata l’effettiva condizione permanente di pericolo, non può bastare una lite. E da quello che sappiamo non ci sarebbero state denunce precedenti di maltrattamenti o testimomianze che possano confermare un simile scenario”.

Quindi vede molto difficile per la moglie ottenere delle attenuanti?

“Non lo so, vediamo come evolveranno le indagini. C’è stato recentemente un caso simile, quello di Alex Pompa, il ragazzo che ha ucciso il padre accoltellandolo in presenza della madre e del fratello perché aveva capito che stava per aggredirli. In primo grado è stato assolto, ma la Procura ha presentato ricorso in appello ritenendo sproporzionata la reazione del ragazzo, dal momento che il padre non li stava materialmente aggredendo. La Procura ha preso atto e ha riconosciuto che l’omicidio è maturato in un contesto familiare difficile caratterizzato da ripetute aggressioni dell’uomo nei confronti dei familiari, ma non ha comunque ritenuto possibile ipotizzare la legittima difesa di fronte ad una reazione soltanto preventiva, dal momento che non c’era in corso nessuna aggressione da parte del padre. I giudici di primo grado però sono stati di diverso avviso e lo hanno assolto. Nel caso specifico di Nuvolento gli inquirenti al momento sembrano non avere dubbi circa l’accusa di omicidio volontario nei confronti della moglie, poi non è escluso che nel corso delle indagini possano emergere degli aspetti nuovi e tali da giustificare delle attenuanti. Ma per ora, con le informazioni che abbiamo, mi sembra poco probabile”.

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