Ieri, esattamente come il primo maggio in Italia, nello stesso giorno ci sono state due comunicazioni (studiate a tavolino) diametralmente opposte, che si sono annullate a vicenda.
Da un lato (il nostro caso), la premier Meloni ha usato la festa dei lavoratori per veicolare urbi et orbi le sue nuove ricette per risanare l’economia e combattere la disoccupazione; dall’altro, i sindacati che come da loro prassi storica, hanno approfittato della ricorrenza per la loro rituale propaganda, nell’ insanabile scontro tra governo e parti sociali.
E medesimo ritornello tra Kiev e Mosca. Zelensky ha giocato di anticipo sullo zar per togliergli quello spazio mediatico finalizzato al consenso interno (per legittimare i presunti successi dell’“operazione speciale”), portando in Ucraina la festa dell’Europa, proprio in coincidenza con la parata russa. Celebrando, tra l’altro, per l’ennesima volta un ingresso tanto agognato e strombazzato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che nella realtà ancora resta al palo. Perso in mille rivoli di retorica e promesse.
Vediamo le due comunicazioni “contrapposte”.
Putin: in un raro tributo ai Paesi che da mesi liquida come “Occidente collettivo”, sulla Piazza Rossa, ha parlato di “onore da parte nostra nei confronti dei membri della resistenza che ha combattuto contro i nazisti, i soldati degli eserciti alleati di Stati Uniti, Gran Bretagna e altri”. “Ricordiamo e onoriamo la memoria dei soldati cinesi nella loro battaglia contro il militarismo cinese”, ha aggiunto, indicando nella “solidarietà” il fondamento per la costruzione di “un mondo multipolare”.
Tradotto: continua la narrazione di un’Ucraina nazista, di un mondo multipolare antagonista al mondo unipolare a guida Usa, ma stavolta con una precisa carezza verso quell’Occidente considerato finora l’origine di ogni male. Un abbraccio dettato pure dal timore di un cambio di strategia del suo alleato cinese.
Interessante a proposito di contestazione da destra nei confronti del Cremlino, la dichiarazione del capo della Wagner Prigozhin. Per lui la controffensiva dell’Ucraina “sarà sul terreno, non in televisione”. E ha aggiunto che Kiev sta colpendo le regioni russe di confine “con successo”. Invece “in Russia tutti pensano che le cose si debbano fare in televisione”. Un macigno non da poco che nasconde più di una critica allo zar in ordine ai mancati armamenti e a una strategia bellica ritenuta troppo morbida.
Ma se Mosca piange Kiev non ride. Il discorso rituale della Von der Leyen non è piaciuto a Zelensky. Ecco quello che ha detto la presidente: “Caro presidente Zelensky, sono qui per assicurarti che puoi contare su questa solidarietà per tutto il tempo che sarà necessario”. Ed ecco quello che ha risposto il presidente ucraino: “Ho ringraziato Ursula von der Leyen per la disponibilità dell’Ue a fornire all’Ucraina le munizioni di cui ha tanto bisogno, un milione di proiettili di artiglieria”.
E ancora: “Sfortunatamente abbiamo affrontato problemi dove avremmo dovuto vedere forti segni di solidarietà, proporzionati in particolare alle minacce per le dure e violente misure protezionistiche dei nostri vicini. Ogni restrizione alle nostre esportazioni sono assolutamente inaccettabili” e “ci aspettiamo che questi problemi vengano monitorati e non vengano prese decisioni senza consultare l’Ucraina. Ci aspettiamo forti soluzioni europee in questo ambito e che tutte le restrizioni vengano rimosse il prima possibile”.
Dietro i sorrisi e i baci di circostanza bolle quindi, parecchia acqua sul fuoco: la mancanza di munizioni di Kiev, il timore che la controffensiva sia un fiasco, e che gli Usa possano ridurre i loro rifornimenti militari, e, problema non da poco, iniziative economiche contro la Russia che poi si riflettono negativamente sull’Ucraina.
Una dimostrazione palese di “tante guerre nella guerra”, in un giorno di comunicazioni parallele a somma zero.