Zelensky. Il viaggio italiano. Giornalisti proni e papa Francesco inutile. Il titolo di Repubblica

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La cosa più sconsolante è aver assistito alla nomenklatura giornalistica dominante e trasversale assumere una postura banalmente passiva di fronte a Zelensky.

Un po’ come la squadra del Milan che, avendo perso con lo Spezia, anziché limitarsi a prendere atto della sconfitta che nello sport ci sta, fa parte appunto del gioco, si è prostrata davanti alla “curva-sovrana” (assurta a tribunale di Norimberga), in un atto di contrizione morale, pubblica, di autoflagellazione mistica. Suscitando in chi scrive il sospetto di una farsa (furbi i giocatori) “modello-inginocchiatura-fiction”, come ormai di moda oggi (Qatar docet).

E’ la medesima sensazione di Porta a Porta. La crema dell’informazione contenta, gratificata, fiera unicamente per il fatto di esserci. Di assistere a uno spettacolo mediatico globale con l’icona pellegrina del momento.
L’unica domanda leggermente fuori registro quella di Nicola Porro sul rischio di un affievolimento del consenso e di un progressivo disinteresse nei confronti della guerra in Ucraina, che ha ricevuto come riposta la peggiore che Zelensky potesse dare: “Se non continuate a sostenerci ed armarci, anche i vostri figli andranno in guerra”.

A questo punto la reazione avrebbe dovuto essere quella di incalzarlo sulla neanche nascosta minaccia all’Occidente e su chi vuole veramente eternare il conflitto: il presidente ucraino e Biden (con la tentazione da parte della Casa Bianca, se lo scontro dovesse imitare Corea, Vietnam e Afghanistan, di mollare baracca e burattini).
D’altra parte, che gli obiettivi di Zelensky siano questi si è capito da un pezzo. La pace si può raggiungere solo se accetta di perdere il Donbass e la Crimea e solo se gli americani smetteranno di armarlo.
Ma questo non avverrà mai, in quanto per ora i due contendenti sembrano voler arrivare fino in fondo. Strategie contrapposte o realtà vera, gli effetti non cambiano.

E poi, che tristezza vedere un papa totalmente indebolito nello scacchiere internazionale, un po’ perché ci si è messo da solo (depauperando prestigio e dottrina), un po’ perché si è troppo prestato a farsi tirare la giacchetta dal pensiero unico laicista, per cui quando cerca di tornare protagonista viene oscurato o al massimo valorizzato solo sulle frasi politicamente corrette che usa.
Sarebbe curioso seguire la polemica del Santo Padre con gli animalisti, visto che partecipando agli Stati generali della Natalità si è rifiutato di benedire un cagnolino, evidentemente ritenuto molto meno importante di un bambino a cui viene impedito di nascere o che viene comprato con l’utero in affitto.

Tornando al tema, che differenza rispetto all’autorità morale, al carisma di papa Giovanni, che riuscì a fermare la probabile terza guerra mondiale, ordinando a Kennedy e Krusciov di girare navi e missili da Cuba.
Invece papa Francesco è andato a vuoto. E si è sentito dire che di fatto non conta nulla. Il suo piano non serve. Nel vertice di 40 minuti in Vaticano Zelensky ha rifiutato la mediazione del pontefice, sostenendo che non può esserci uguaglianza tra vittima e aggressore. “Rispetto il Papa, ma il piano di pace deve essere ucraino”. Pronto dalla Germania “un pacchetto molto importante” di armi per la controffensiva di primavera.
E dulcis in fundo, il titolo di Repubblica: “Le armi italiane salvano vite”.

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