Nonostante gli sforzi profusi dall’eterogenea opposizione coagulatasi intorno alla figura di Kemal Kilicdaroglu, Recep Tayyip Erdogan sembra che abbia la vittoria in tasca al ballottaggio di domenica prossima in Turchia. Ne è convinto Settimio Stallone, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università Federico II di Napoli.
Professore, Erdogan ha il controllo dei media, dell’apparato statale, dell’esercito, e della base religiosa a lui fedele. In più godrà dell’appoggio di Sinai Ogan, capo della coalizione ultranazionalista. A queste condizioni, dunque, il ballottaggio può essere ancora combattuto?
«Ho molti dubbi in merito. La speranza delle opposizioni, confluite nell’Alleanza della Nazione, che tra l’altro al suo interno include posizioni politiche e ideologiche molto differenti, quali nazionaliste, liberali, curde, laburiste, era di vincere al primo turno, ma alcuni partiti dell’alleanza hanno ottenuto risultati modesti per le contemporanee elezioni del Parlamento, generando malumori e polemiche. Con queste premesse, è davvero difficile che Kilicdaroglu possa prevalere su Erdogan, le sue possibilità di farcela sono davvero ridotte al minimo».
Kemal Kilicdaroglu, che passerà alla storia come il candidato della cipolla, ha combattuto a mani nude riportando un eccellente 45 per cento dei consensi al primo turno. E’ ben visto dalla classi progressiste e dai giovani. Quindi non basterà la metafora della cipolla per sovvertire il pronostico.
«Direi di no, anche perché ci sono dinamiche strane. L’economia è in crisi da anni nonostante la Turchia sia diventata un grande paese manifatturiero. Il debito pubblico cresce, l’inflazione è galoppante, la lira turca viene continuamente svalutata nel tentativo di migliorare la competitività dell’industria nazionale e ciò ha provocato l’impoverimento di vasti strati della popolazione. Però Erdogan gode ancora di un ampio consenso elettorale. Anche nelle regioni colpite dal disastroso terremoto, serbatoio di Erdogan, ci si attendeva un calo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, che invece è stato abbastanza ridotto. C’è dunque una Turchia profonda e nazionalista che vota ancora Erdogan perché nel Sultano vede la stabilità politica, vede gli indubbi progressi compiuti dal Paese negli ultimi venti anni, vede l’uomo che ha riportato la Turchia al centro della politica internazionale ponendo le premesse per la realizzazione di una potenza regionale. Non dimentichiamo, poi, il voto dei turchi all’estero, che premia il partito al potere, che ha avuto risultato migliore di quello di Erdogan, pur calando al suo minimo storico, ma conserva la maggioranza assoluta nel parlamento. Kilicdaroglu è un personaggio apprezzato e stimato, un ex importante funzionario dell’apparato statale turco, ma del tutto incapace di incendiare le masse. Sarebbe stato preferibile candidare l’attuale sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu. Ma qui è intervenuto l’apparato repressivo di Erdogan che l’ha accusato di corruzione e di altri reati minori che lo hanno di fatto estromesso dal voto. Va sottolineato che Kilicdaroglu ha vinto in 30 province contro le 51 di Erdogan, ma va pure detto che, se si escludono le tre grandi città, ha vinto nettamente solo nelle tredici province curde, che al ballottaggio potrebbero astenersi o votare addirittura per Erdogan per non peggiorare la propria situazione».
Professor Stallone, l’adesione all’Unione europea e il controllo dei migranti sono dossier scomodi che Kilicdaroglu in caso di vittoria riaprirebbe volentieri. Siamo sicuri che l’Occidente, spesso ipocrita e doppiopesista, non auspichi la riconferma di Erdogan?
«Difficile da dire. Partirei dai migranti. Come disse in maniera un po’ brutale, ma efficace il presidente del Consiglio Mario Draghi Erdogan è per l’occidente un utile dittatore, provocando a suo tempo una crisi diplomatica. La Turchia ben facendosi pagare dalle istituzioni europee ha svolto un ruolo efficace nel contenere l’ondata migratoria proveniente dalla Siria. Oggi nel Paese ci sono tre milioni di siriani, 200mila dei quali hanno nel frattempo conseguito la cittadinanza turca. Probabilmente l’Unione europea vede ancora questa utilità di Erdogan, anche se una parte dell’elettorato è insofferente alla permanenza di profughi siriani o afghani sul territorio. Sull’adesione all’Unione europea ritengo che quel processo mai compiuto di avvicinamento della Turchia a Bruxelles, giunto all’apice negli ’80 e ’90, difficilmente sarà rilanciato. Se Kilicdaroglu guarda all’Unione europea lo fa principalmente per ragioni economiche e commerciali: una maggiore interrelazione del Paese con le strutture commerciali, economiche e finanziare dell’Unione certamente converrebbe a risollevare un’economia in crisi o soggetta a forte oscillazione come quella turca, ma una ripresa di adesione lo vedo molto difficile. Impossibile con Erdogan, complicata con Kilicdaroglu».
Erdogan è uno dei leader più attivi sulla scena internazionale e si è ritagliato un ruolo di mediatore nel conflitto russo-ucraino. La Turchia è presente in molti altri scenari regionali nel nome di una nuova espansione geopolitica. La prospettiva non dispiacerebbe nemmeno al più moderato Kilicdaroglu. Il “panturchismo” potrebbe diventare un problema prossimo per le cancellerie europee?
«Il Panturchismo è un progetto al momento accantonato. La prima politica estera di Erdogan aveva una forte attenzione verso paesi turcofoni dell’Asia centrale, ma è stata costretta a moderarla per non inasprire i rapporti con la Russia. Turchia e Russia non si amano, ma hanno bisogno l’una dell’altra e comunque nell’attuale complesso e convulso scenario internazionale operano entrambe per colmare i vuoti lasciati dagli Usa o sfruttare a loro beneficio le crisi internazionali di difficile soluzione, si pensi alla questione siriana. La politica estera nell’ultimo decennio si è orientata verso il Mediterraneo nell’idea di rilanciare il concetto di Patria Blu, “mavi vatan”. La Turchia ha lanciato un’imponente campagna di costruzioni di navi miliari, mentre conserva una strategica presenza in Libia, che ha favorito il processo di stabilizzazione, pur parziale, di questo paese. Erdogan vuole trasformare la Turchia in una potenza regionale, mentre Kilicdaroglu ammorbidirebbe questo attivismo in favore di un maggior avvicinamento nei confronti dell’Unione europea, pur rischiando il peggioramento delle relazioni con la Russia. La speranza è che questo Paese, alle prese con una crescente crisi economica, non finisca per subire una sorta di deriva “putiniana” nel senso che per far dimenticare i problemi interni decida di adottare una politica nazionalista proiettata verso l’esterno in maniera aggressiva».