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“Rapito”, il film di Bellocchio su Mortara e l’esordio del “bergoglianamente corretto”

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Non si placano le polemiche sull’ultimo film di Marco Bellocchio in concorso al Festival di Cannes incentrato sulla vicenda di Edgardo Mortara. Il film si intitola “Rapito” e la storia raccontata sembra ispirarsi al libro di Daniele Scalise uscito nel 1996 e dedicato proprio al bambino ebreo sottratto alla famiglia di origine su ordine di Pio IX, dopo la scoperta del suo battesimo segreto

Il regista è stato accusato di aver voluto avvallare quella che è da sempre la “leggenda nera” contro la Chiesa e basata su fatti manipolati e non corrispondenti alla realtà. Il piccolo Edgardo quando aveva poco più di un anno si ammalò gravemente e i medici si mostrarono molto pessimisti circa la possibilità che potesse sopravvivere. Una domestica di fede cattolica, per paura che il bimbo in caso di morte non potesse salire in Paradiso, segretamente gli impartì il sacramento ricorrendo alla formula del “battesimo di necessità” che chiunque può impartire di fronte al rischio imminente della morte di un neonato versando dell’acqua sul capo e pronunciando la formula di rito, “io ti battezzo nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo”.

Solo che Edgardo riuscì a sopravvivere e quando anni dopo si venne a sapere che la donna segretamente lo aveva battezzato, il papa Pio IX sovrano dello Stato pontificio ordinò che il piccolo fosse educato secondo la fede cattolica come del resto prevedevano le leggi del tempo. I genitori si opposero e alla fine non restò altro da fare che sottrarre il bambino alla famiglia di origine.

Fin qui la storia, che potrebbe anche giustificare la narrazione di Bellocchio se soltanto non fossero accadute delle circostanze successive tali da screditare la leggenda nera contro la Chiesa. Edgardo infatti, non soltanto si rifiutò di abiurare la fede cristiana per tornare nell’ebraismo, ma anzi si innamorò talmente di Gesù che scelse di farsi sacerdote e passò il resto della sua vita a fare il missionario per convertire più gente possibile a Cristo, compresi gli ebrei. Ed è morto in odore di santità.

Scrive La Nuova Bussola Quotidiana: “Eppure, basterebbe leggere l’esaustivo memoriale che il protagonista della vicenda, Edgardo Mortara, scrisse nella sua piena maturità, nel 1888, quando aveva 37 anni. Un memoriale scritto in castigliano durante il suo apostolato in Spagna e poi custodito negli archivi romani dei Canonici Regolari del Santissimo Salvatore Lateranense, l’ordine in cui don Pio Maria Mortara, il suo nome in religione, volle liberamente e fortemente entrare non appena l’età glielo consentì. Tradotto in italiano, il memoriale è stato pubblicato integralmente nel 2005 in un libro introdotto da Vittorio Messori («Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX». Il memoriale inedito del protagonista del «caso Mortara», Mondadori), che smonta pezzo per pezzo la leggenda nera e dà conto, in modo esemplare, delle ragioni della fede. È quindi curioso che certe élite culturali continuino a preferire ricostruzioni parziali, pur di propagare la propria ideologia”.

Il film di Bellocchio è stato messo sotto accusa perché sembra riproporre tutte le accuse che all’epoca si rivolsero contro la Chiesa ad opera delle fazioni liberali, anti clericali e massoni per delegittimare Pio IX che di lì a poco si vedrà espugnare Roma con la conseguente fine del potere temporale. Quando invece sarà proprio il protagonista a difendere la Chiesa, e specialmente l’ultimo papa re, da tutte le critiche circa il suo rapimento e a ringraziare anzi il pontefice per avergli permesso di abbracciare definitivamente Cristo, senza mai rinnegare la sua famiglia di origine ma con la ferma convinzione di non tornare alla religione ebraica.

Polemiche che hanno spinto Bellocchio a replicare: “Ho scritto al Papa per invitarlo a vedere il film. Non mi ha ancora risposto, ma resto in attesa, mi piacerebbe davvero molto che lo vedesse in una serata tra amici” ha dichiarato.

Poi ha negato di aver voluto realizzare il film per denigrare la Chiesa: “La nostra intenzione non è mai stata quella di fare un film contro la Chiesa, contro il Papa o contro la religione. Non c’è mai stato alcun intento politico e ideologico. Ma è stato un viaggio complicato per la necessità di condensare in un paio d’ore una storia lunghissima scegliendo l’essenziale”. Essenziale che però sembra incentrato soprattutto a mettere in luce la “crudeltà” della Chiesa, che sottrae con la forza e in modo disumano un figlio ai propri genitori e cerca in tutti i modi di soffocare il suo desiderio di ritornare a casa imponendogli quasi una conversione forzata.

Peccato che, come detto, appena fu in grado di decidere in piena maturità e consapevolezza, Mortara decise di farsi sacerdote e andò in giro per il mondo a predicare il Vangelo difendendo sempre Pio IX dalle calunnie. Chi avrebbe dunque impedito a Mortara adulto di abiurare il cristianesimo e tornare all’ebraismo? 

Senza entrare nella questione in sé o prendere parte al giudizio storico, appare davvero difficile non intravedere dietro questo film un retroterra anti-cattolico, ovvero il tentativo di riscrivere in senso negativo una storia che, comunque la si pensi, il diretto interessato ha provveduto a smontare in vita. Una vicenda quella di Mortara che fu per altro riportata al centro del dibattito storico quando Giovanni Paolo II proclamò Pio IX beato in occasione del Giubileo del 2000, fra le proteste del mondo laicista che ha ritenuto il gesto uno schiaffo al Risorgimento e alle lotte per l’Unità d’Italia. E poco importa che fra i più strenui difensori di Pio IX e sostenitori della sua santità vi sia stato anche Giovanni XXIII, il papa del Concilio che ha aperto per primo le porte al rinnovamento della Chiesa.

E oggi la storia sembra tornare nuovamente a galla quasi come monito a papa Francesco a rompere definitivamente i ponti con il passato. Il regista del resto non lo nasconde più di tanto: “Nella mia educazione cattolica – ha detto- nulla era in discussione. C’erano i peccati mortali e quelli veniali, e la scomunica era una condanna terribile. Oggi le cose stanno diversamente, papa Francesco ha aperto molte porte”.

Ecco, non sarà che papa Francesco per una certa sinistra culturale altro non è che il pretesto, o addirittura il comodo paravento, dietro cui nascondere l’ostilità verso la Chiesa, la sua storia e tutto ciò che ha rappresentato nel corso dei secoli, per poterla meglio colpire vestendo gli abiti dei supporter bergogliani? A pensar male si fa peccato ma……

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