Quando si perde per poco la narrazione dei partiti viene sempre giocata sul cosiddetto “rovesciamento dei parametri” (si comparano elezioni incomparabili, come le amministrative rapportate alle politiche, alle regionali, alle europee, o viceversa), in modo tale che ciascun leader possa aggrapparsi a qualche interpretazione di comodo. Quando si perde molto, si ha solo una via d’uscita: la scusa reiterata è che si tratta “di consultazioni locali che non inficiano il dato nazionale”.
Ma quando si perde in questo modo, come è successo alla sinistra ieri, o ci si lecca le ferite, o si decolla per un altro pianeta. Ci si lecca le ferite evitando di ripetere il mantra del “non voto”, ricorrendo al grottesco e comico “conto a ridurre”: tipo, “se il mio avversario ha preso il 47% dei voti e il 50% non ha votato, vuol dire che il 47% diventa il 23,5%. Ergo, una mezza vittoria”. Sì, ok, ma comunque chi si inventa tale teorema ha pur sempre perso, ottenendo una percentuale ugualmente dimezzata. Ma lo capisce? O pensa che gli elettori siano beoti?
Un dato, quello del non voto, che deve far riflettere: ora ha raggiunto quota 49,6%. Numeri preoccupanti che la dicono lunga sulla disaffezione dei cittadini verso un’offerta politica ritenuta palesemente irrecuperabile in termini di idee, ricette e classe dirigente.
Ricapitolando, alle comunali non c’è stato “l’effetto-Schlein”, né si è assistito al recupero dei grillini, tradizionalmente debolissimi sui territori.
La neo-segretaria dem adesso dovrà prendere atto del fallimento della sua strategia mediatica e non solo, incentrata sull’aventinismo, l’antifascismo, i diritti civili, il femminismo e l’anti-Meloni. Dovrà risolvere tutte le ambiguità e contraddizioni della sua linea (ad esempio, l’inceneritore, le armi all’Ucraina, l’utero in affitto, la patrimoniale), percepita come troppo ideologica, inutile e minoritaria.
Con che faccia potrà confermare ai giornali oggi la frase pronunciata dopo il primo turno “noi avanziamo e la destra frena?”.
Il centro-destra, invece, ha retto, ha migliorato, confermato sindaci, ottenuto di nuovi, dimostrando, come al solito, una compattezza molto “elettorale”, che continua però, a dare frutti.
La Toscana è il simbolo di un vento che non pare arrestarsi (“la sindrome della luna di miele” che finisce dopo i primi 100 giorni). Massa, Pisa, Siena stanno a destra. Importante la conquista di Ancona, roccaforte storica della sinistra, che ha costretto il sindaco di Pesaro Ricci ad ammettere che “siamo andati male ai ballottaggi”. Un’ammissione non da poco, se si considera la superiorità morale della sinistra.
Un Pd poi, che si consola con l’aglietto, gongolando per la sola Vicenza, dove il centro-sinistra (sindaco Possamai) ha prevalso per soli 500 voti.
Indicativa del vento Terni, dove l’atipico “anticasta” Bandecchi, imprenditore, presidente della locale squadra di calcio, ha preso il 54%. Lui ha un Dna pur sempre di destra. Una sorta di nuovo Berlusconi.
Certo, adesso dopo la Finlandia, la Spagna (la Francia non sta meglio), la partita europea per la sinistra diventa in salita.
E non è in programma nemmeno una possibile alleanza Pd-5Stelle, piuttosto una reciproca “cannibalizzazione”.