“La Brexit ha fallito” ha affermato Nigel Farage, che aveva portato avanti una lunga campagna per l’uscita dal blocco conclusasi col successo del referendum tenuto nel 2016.
Per Farage, diventato conduttore televisivo dopo aver guidato l’Ukip e il Brexit Party, non c’è alcun rimpianto rispetto all’addio all’Ue bensì l’idea che la Brexit sia stata gestita in modo completamente errato. Infatti ha puntato il dito contro la classe politica, affermando: “i politici conservatori, che sono inutili quanto i commissari europei, non hanno saputo gestirla affatto e il Paese non ha goduto dei benefici economici che la Brexit avrebbe potuto portare”.
Allo stesso modo la pensano molti esponenti, dai più conservatori ai più progressisti, che hanno sottolineato come le cose siano andate in modo diverso da come avevano auspicato il Premier Boris Johnson e il leader della campagna Leave, Michael Gove, sostenitori di quel taglio netto che, nella loro visione, avrebbe permesso alla Gran Bretagna di esprimere tutto il suo potenziale, liberarsi dalle catene dell’Unione Europea e riappropriarsi della sua economia, dei suoi confini, delle sue leggi.
Il primo elemento a sfavore della Brexit è che questa ha reso la Gran Bretagna più povera. Infatti ha contribuito alla carenza di manodopera in molti settori, perché i lavoratori dell’Ue sono tornati a casa, e alla frustrazione di altri cui era stato promesso molto ma non hanno ancora ottenuto nulla. Lo stesso non si può dire delle piccole medie imprese che commerciano con l’Unione europea, che hanno invece ottenuto qualcosa ma in negativo. Infatti sono state travolte da una valanga di costi aggiuntivi e, come se non bastasse, si è aggiunta una recente stretta sull’import, entrata in vigore proprio a inizio anno.
Tra l’altro le nuove norme impongono alle imprese di notificare alle autorità doganali esattamente cosa viene inviato in Gran Bretagna dall’Ue e da dove, poi se la merce arriva con documenti incompleti può essere sequestrata o rispedita al mittente. Per questo le esportazioni di merci sono diminuite del 14% su base annua nel terzo trimestre del 2021, sia verso Paesi Ue che extra Ue. L’entità del danno economico della Brexit è stata ben chiarita dall’Office for Budget Responsibility, che ha previsto che l’uscita dall’Ue ridurrà il Pil britannico a lungo termine di circa il 4%, a fronte di un calo di circa l’1,5% causato dalla pandemia di Covid.
Poi c’è la questione dell’Irlanda del Nord, ben lontana dall’essere risolta e una delle ragioni che hanno portato il ministro per la Brexit, Lord David Frost, alle dimissioni poco prima di Natale. Va dato atto a Johnson di aver messo a segno un bel colpo con l’accordo Aukus, il patto anti-Cina con Usa e Australia che ha strappato alla Francia un contratto da 60 miliardi di dollari per la produzione di sottomarini nucleari e di aver siglato altri importanti accordi commerciali con l’Australia e la Nuova Zelanda.
Ma cosa ne pensa la popolazione? Da un sondaggio di YouGov è emerso che solamente il 9% dei britannici considera la Brexit un successo, mentre il 62% pensa l’opposto.
Secondo i rispettivi dati quindi l’opinione pubblica concorda con Nigel Farage, dunque l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue non è stata un successo ma un fallimento.