A tre anni dall’inizio del primo lockdown, il virus Covid-19 non è scomparso, ma è diventato gestibile. La pandemia, dunque, è di fatto passata, ma è chiaro che sia stata un’esperienza difficile da dimenticare, sia per il sistema sanitario, che ha mostrato tutte le sue debolezze e lacune, sia per le persone che ormai vivono il presente avvertendo il rischio delle future minacce per la propria salute. Ed è proprio la paura che va combattuta secondo Giovanni Frajese, Professore in endocrinologia e Vicepresidente di ContiamoCi, medico che con coraggio, in scienza e coscienza, si è espresso contro i vaccini obbligatori a mRNA ritenuti sperimentali. Il rapporto con l’ambiente è uno degli elementi fondamentali dello stato di salute della popolazione umana e sembra che proprio dall’ambiente nascano le future sfide per l’uomo. Il senso di pericolo, ai giorni nostri, è tornato con l’alluvione in Emilia Romagna, con i suoi potenziali effetti negativi in tema di infezioni. Ma è davvero una situazione così rischiosa e la corsa a una vaccinazione è la risposta al panico? Il professore è contrario all’eccessiva medicalizzazione e spiega perché in questa intervista allo SpecialeGiornale.it.
Allarme infezioni nelle zone alluvionate dell’Emilia Romagna. Iniziamo con i possibili rischi noti alla letteratura scientifica e riscontrati nelle esperienze precedenti, che riguardano soprattutto le infezioni gastrointestinali, la legionellosi e le arbovirosi come l’infezione da West Nile virus, la trasmissione indiretta o diretta di diversi patogeni gastrointestinali, dall’E. coli all’epatite A. L’apprensione è sana?
“Non bisogna avere paura e occorre rimanere sereni, mi lasci dire innanzitutto questo perché è altrettanto “scientifico” parlare così. La medicalizzazione senza conclamate esigenze è un errore. La paura attiva gli ormoni dello stress e diminuisce la risposta immunitaria. Purtroppo, è uno sbaglio del sistema sostenuto dai media e che viene spacciato per prevenzione. In ogni occasione emergenziale sembra necessaria la corsa alla vaccinazione. Le modalità di contagio sono diverse e le immunità cellulari producono spesso anticorpi naturali velocemente. Il sistema immunitario se vaccinato per un dato patogeno, anche oltre la data del richiamo, è in grado di attivarsi al contatto con l’antigene e produrre risposta anticorpale. Non sempre serve la corsa verso gli hub vaccinali”.
È corretto dire che il tetano non contagia e al limite ci sarebbero le immunoglobuline al posto del vaccino?
“La vaccinazione antitetanica sarebbe un errore, il tetano ha una modalità di contagio che necessita di una ferita profonda. Non condivido la corsa a farla, dunque. Ricorrere a questo vaccino fa più parte di un bisogno scaturito dal panico, a cui anche i media contribuiscono, che di una strategia medica. Storia diversa è, da letteratura, quella per l’epatite e il tifo”.
Quali buoni comportamenti da adottare suggerirebbe alla popolazione? E i vaccini fatti senza necessità alterano secondo lei i sistemi immunitari?
“La scienza che studia le funzioni degli organismi viventi e mira a conoscere le cause, ossia la fisiopatologia, ci insegna che avere corretti stili di vita, equilibrio personale e familiare, stare all’aperto, mangiare bene, fare attività fisica, sono tutti aspetti che contribuiscono all’equilibrio dell’organismo. Occorre che la medicina riparta da qui, l’attuale sistema socio-sanitario prevede l’organizzazione dell’assistenza in forma eccessivamente medicalizzata. La vera prevenzione viene dall’equilibrio nella propria vita. In più abbiamo il problema delle risorse umane e della burocrazia. Trasformare gli ospedali in aziende ha velocemente trasformato la medicina ospedaliera. Ad esempio, riducendo i tempi delle visite, io stesso avevo circa 15 minuti a paziente al Policlinico di Tor Vergata, in questo modo non si risolvono i problemi perché non si ha il tempo di fare un’anamnesi completa. Come posso inquadrare bene uno sconosciuto in 15 minuti? Bisogna ritornare a un sistema più umano”.
Cosa pensa dell’utilizzo della telemedicina, molto incentivata dall’Europa, che sarebbe utile – iniziano a scrivere – anche in caso di catastrofi epidemiologiche o ambientali?
“La tecnologia può essere utile in alcune condizioni, ma la direzione di distanza tra medico e paziente sembra sempre più incentivata. Il rapporto umano in presenza contribuisce all’atto terapeutico e diagnostico. La medicina non è fatta solo di numeri, di analisi e immagini radiografiche, ma anche di osservazione dei segni e capacità empatica. È una scelta, che se diventerà sistematica, allontanerà pericolosamente il medico dal suo paziente e disumanizzerà ulteriormente la scienza”.
Eppure leggiamo articoli che mirano a dimostrare, addirittura, come l’intelligenza artificiale possa essere anche empatica…
“È sbagliato chiamarla “intelligenza”. Non è che la macchina ragioni, è un software linguistico, che sa costruire e reperire le informazioni su internet, secondo vari algoritmi, e li elabora in maniera comunicativamente efficace. Il lavoro medico non è un collage di nozioni, non basta e non basterà”.
Professore, per concludere, qual è il consiglio che oggi darebbe al Ministro della Salute, Orazio Schillaci.
“Eliminare subito le mascherine laddove ancora vige l’obbligo. Non ha più senso. Sono tantissimi gli studi scientifici che dimostrano come non riducano affatto i contagi e possano anche danneggiare le difese immunitarie. Allora che senso ha? E poi Ministro, non disumanizziamo la medicina, rimaniamo concentrati sulla persona prima che su tutto il resto. La tecnologia è un mezzo che non deve dimenticare che l’uomo è al centro del suo intervento e non altro”.