Paolo Ziliani è un giornalista sportivo “tranchant”. Scrive o dice ciò che pensa, senza filtri, senza mezze misure. E’ il più feroce censore del sistema calcio italiano e delle magagne dei club, Juventus in primis, dai tempi di Calciopoli. E’ probabile, infatti, che il numero dei suoi detrattori sia pari a quello dei tifosi bianconeri in Italia. D’altronde l’aforisma che campeggia sul suo profilo su “X” rende bene l’idea: «Non ho fatto il giornalista per fare l’addetto stampa, l’ho fatto per fare il giornalista». Lospecialegiornale.it lo ha intervistato per un excursus sullo sport più popolare d’Italia, alquanto malconcio, partendo dalle sorprendenti dimissioni ferragostane di Roberto Mancini da Commissario tecnico della Nazionale.
Ziliani, premesso che dimettersi da Ct della Nazionale con una mail balneare datata 13 agosto non è il massimo dell’eleganza, perché Mancini ha aspettato tanto per farsi travolgere dalle proprie perplessità?
«Non sono sicuro che abbia aspettato tanto. Magari in pochi giorni sono successe cose (Gravina che mette bocca nella ristrutturazione dello staff tecnico muovendosi come un elefante in cristalleria, le voci su Spalletti pronto a sostituirlo, l’Arabia Saudita che gli offre 40 milioni l’anno per allenare la nazionale e portarla ai mondiali 2026) che hanno portato Mancini a dimettersi mandando una Pec in Figc addirittura dall’ombrellone di Mykonos. Io non lo condanno, anche se penso che dopo il flop della mancata qualificazione ai mondiali di Russia Mancini avrebbe dovuto dare le dimissioni. Avrebbe trascinato con sé Gravina e per il calcio italiano sarebbe stato un giorno storico».
Sembrava però che Mancini avesse gradito il ruolo di plenipotenziario che il presidente gli aveva assegnato: perché poi ha pesantemente criticato il rimpasto in Figc?
«Mancini lo ha detto apertamente: si aspettava che Gravina eliminasse dal contratto la clausola che prevedeva il licenziamento del Ct in caso di mancata qualificazione all’Europeo 2024, invece la cosa non è successa. “Un particolare che mi ha deluso: è chiaro che in caso di insuccesso me ne sarei andato io di mia spontanea iniziativa”, ha spiegato il Ct. Questa circostanza, più ancora delle mani in pasta di Gravina nel rimpasto dello staff tecnico e più ancora dell’assunzione di Buffon come Capo delegazione fatta a sua insaputa, ha pesato sulla decisione di Mancini di piantare baracca e burattini a Ferragosto».
Ecco, Buffon: con tutto il rispetto per lui, si poteva pensare anche a figure come quelle di Maldini, Baggio o Totti?
«Qualsiasi altra figura sarebbe stata migliore. Non esiste un ex campione azzurro con tanti scheletri nell’armadio come quelli che ha Buffon. Che è stato un grandissimo portiere, ma glissiamo su tutto il resto, perché è meglio».
Sacchi ha dichiarato che il Ct della Nazionale è sempre solo, ha ragione?
«Sì, è così da sempre, nel bene e nel male. Bearzot, a dispetto dello straordinario mondiale giocato dalla sua Italia ad Argentina 78, iniziò il mondiale di Spagna dell’82 insultato, e dico proprio insultato, dai media italiani al gran completo. Inutile dire che poi tutti tentarono di salire sul carro della sua strepitosa nazionale: compatiti dal Ct azzurro, troppo saggio per cercare vendette. E ancora: lo stesso capitò a Sacchi al mondiale di Usa 94. L’Italia partì male e superò il girone a fatica, proprio come l’Italia di Bearzot a Spagna 82. Sacchi venne sbeffeggiato manco fosse la controfigura di Oronzo Canà, persino dai telecronisti Rai, persino da Bruno Pizzul, solitamente saggio, che commise il più grande errore della sua peraltro ottima carriera; poi l’Italia incominciò a volare e arrivò dritta in finale, persa ai rigori col Brasile».
Alcune grandi nazionali europee come Francia, Germania e Spagna si fanno vanto della propria rappresentativa. Perché da noi la Nazionale è considerata un fastidioso orpello? Siamo ancora nell’Italia dei Comuni?
«Se avessimo una Federazione seria, questa cosa non succederebbe. Ma nel giro di mezzo secolo siamo passati da Artemio Franchi, ho detto Artemio Franchi, a Tavecchio e Gravina che sono riusciti nell’impresa di far sparire l’Italia dai mondiali 2018 e 2022. Se nel 2026 riusciremo ad essere al mondiale, ed è tutto da dimostrare, saranno passati 12 anni dall’ultima nostra partecipazione, che tra l’altro fu grottesca (l’Italia di Lippi che chiuse ultima nel girone eliminatorio alle spalle di Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda). Ci sono giovani tifosi che non sanno cosa sia e cosa significhi seguire e palpitare per l’Italia a un campionato del mondo di calcio: manco fossimo diventati le isole Far Oer».
Per rimanere in tema, la nazionale femminile è uscita dal mondiale di calcio e nessuno ha versato una lacrima. Anche qui paghiamo lo scarso interesse per le giocatrici?
«La nazionale femminile interessa solo perché, quando vince, si dice e si scrive che ha vinto l’ItalJuve. Se perde o tracolla, com’è successo alle azzurre all’ultimo mondiale, l’argomento diventa scabroso, si parla di “delusione Italia” e il calcio femminile smette di interessare, anzi diventa scomodo. Il calcio femminile, che in tutto il mondo è una cosa seria, in Italia è una marchetta pro Juventus che viene messa al petto solo se fuori c’è il sole; se grandina, la parola d’ordine è rimuovere, nascondere, cancellare».
Qualche giorno fa il Consiglio di Stato ha respinto l’ennesimo ricorso della Juventus sullo scudetto del 2006 mettendo una pietra tombale su Calciopoli. In tutta onestà, possiamo dire che il processo non abbia rivelato tutta la verità? Qualcuno l’ha fatta franca?
«La Juventus fu graziata ai tempi di Calciopoli: avrebbe dovuto finire in C, o forse più giù ancora, ma patteggiò la B con penalizzazione spiegando ai suoi tifosi – e a farlo furono l’avvocato Zaccone, il presidente Cobolli Gigli e il presidente onorario Boniperti – che per i misfatti compiuti meglio di così non poteva andare. L’associazione a delinquere messa in piedi da Moggi venne confermata in Cassazione, solo la prescrizione evitò il peggio ai nostri eroi. E nessun club l’ha fatta franca: la Juventus era la Piovra (o la Cupola, come la definirono i magistrati) e chiunque in quella palude cercava di difendersi come meglio poteva. Lo stesso schema ripetutosi oggi, a 20 anni di distanza, con le malefatte juventine svelate dalla Procura di Torino nell’inchiesta Prisma poi insabbiata dalla Figc. La Juventus aveva elevato a sistema i suoi plurimi illeciti, nessun altro club aveva fatto altrettanto. Detto, scritto e confermato dalla Cassazione dello Sport, il Collegio di Garanzia presso il Coni, non più tardi di due mesi fa. Nel silenzio generale».
Quant’è lontano il calcio di Carletto Mazzone?
«Nessun rappresentante di Figc e di Lega Serie A era presente ai funerali di Mazzone. Rende bene il senso di distanza o serve dire altro?».