/

Il cronista: «Messina Denaro? Meglio che non abbia parlato, non siamo pronti…»

3 minuti di lettura
mafia

Dopo undici ore di viaggio la salma di Matteo Messina Denaro, scortata da un enorme dispiegamento di forze di polizia per motivi di ordine pubblico, è arrivata a Castelvetrano, dove sarà sepolta. “U’ siccu”, questo il soprannome del boss trapanese per via del suo fisico segaligno, ha portato con sé tutti i segreti che avrebbe potuto rivelare sulle stragi degli anni ’90 e sui mandanti. Oggi è lecito chiedersi cosa succederà nella geografia interna di Cosa nostra e chi prenderà le redini dell’organizzazione lasciate da un padrino di prima grandezza, anche mediaticamente, non facilmente rimpiazzabile. Ne abbiamo parlato con Bruno De Stefano, giornalista di giudiziaria di lungo corso, autore di una dozzina di libri dedicati alle mafie italiane, quattro a Cosa nostra.

De Stefano, Messina Denaro se n’è andato portandosi nella tomba i misteri della stagione stragista e della presunta trattativa Stato-mafia sintetizzata nel famoso papello esibito in un’aula di tribunale dal figlio di Vito Ciancimino. Messina Denaro, boss di primo piano, era capo dei quattro mandamenti di Trapani: Cosa nostra ha già provveduto a sostituirlo oppure ne approfitterà anche per riorganizzare la sua struttura territoriale?

«La morte di Messina Denaro non è stata improvvisa, per cui è facile ipotizzare che già da tempo Cosa Nostra avesse provveduto a riorganizzarsi sia sul territorio che all’interno della cosiddetta “Cupola”. Contrariamente allo Stato, le organizzazioni criminali sono pragmatiche e rapide, per cui avranno già rimesso a posto ruoli e gerarchie».

Trent’anni di latitanza dei quali alcuni passati tranquillamente nel suo paese, Castelvetrano, con frequenti puntate nella “Grande bellezza” di Roma. In una delle dichiarazioni rese al pubblico ministero dopo la cattura, Messina Denaro ha evocato un proverbio ebraico: «Sei vuoi nascondere un albero, piantalo nel bosco». Pare che abbia funzionato. Chi ha protetto e aiutato il boss in tutti questi anni?

«La vicenda di Messina Denaro ci insegna, per l’ennesima volta, che i mafiosi non sono necessariamente dei geni del male. Mi spiego: Messina Denaro era senz’altro particolarmente intelligente e scaltro, ma se è riuscito a nascondersi per decenni è perché ha potuto contare su una estesa e ramificata ragnatela di coperture di ogni genere. Fuori e dentro Cosa Nostra, fuori e dentro gli apparati dello Stato. Nessun boss, seppur di prima grandezza, può fare ciò che ha fatto lui senza il sostegno di centinaia di persone colluse o conniventi».

Ipotizziamo: in punto di morte Messina Denaro ci ripensa e racconta tutto ai magistrati: viene giù mezza Italia? Quanto hanno pesato collusioni, connivenze e complicità nella storia criminale della Penisola?  

«Io penso che venga giù più di mezza Italia. Voglio ricorrere a un paradosso: è meglio che non abbia mai parlato. Gli italiani non sono ancora pronti per accettare delle verità sgradevoli. La verità è una buona cosa in un Paese maturo e responsabile abitato da cittadini maturi e responsabili. Noi siamo ancora troppo ideologizzati per accettare laicamente verità scomode».

Dunque, “’u siccu” è morto nel “suo letto” e non «si è fatto mai pentito», come aveva promesso a se stesso. Davvero la malattia è stato l’evento determinante per la sua cattura, secondo lei?

«Io penso proprio di sì. Il tempo intercorso tra la cattura e il decesso autorizzano a pensare che nel gennaio scorso ci siamo trovati di fronte a un arresto “pilotato”: Messina Denaro si è consegnato perché voleva morire in una condizione dignitosa, assistito nel migliore dei modi».

I messaggi social di condoglianze alla famiglia del boss defunto dimostrano quanto il consenso per mafia, ‘ndragheta e camorra in determinati pezzi del Paese è ben lungi dall’essere sradicato e spiega forse anche i 43 anni di latitanza di Bernardo Provenzano o i 24 di Totò Riina. E’ d’accordo?

«Sono d’accordo. Ma secondo me c’è una spiegazione: per lungo tempo nelle regioni del Sud i cittadini hanno visto i mafiosi uccidere, arricchirsi e prosperare; li hanno visti sostituirsi allo Stato, gestire le imprese, la sanità, i consigli comunali; li hanno visti dare lavoro, governare il territorio, fare giustizia. Le Istituzioni si sono viste poco e a corrente alternata. I mafiosi, invece, ci sono sempre stati. Ecco perché sradicare il consenso è complicato, se non impossibile».

Secondo lei Cosa nostra è transitata definitamente nella modernità, grazie al lavoro sottotraccia di decine colletti bianchi, o potrebbe ancora servirsi di una strategia cruenta e sanguinaria per condizionare le scelte dello Stato?

«Fare la guerra? E a chi? Le stragi servono quando c’è un nemico e quando c’è qualcosa da difendere o conquistare. Oggi non è più necessario ricorrere alla forza perché con i soldi accumulati possono comprare di tutto, in Italia e all’estero. Oggi i mafiosi sono a pieno titolo nella modernità. È l’inevitabile prezzo che paghiamo dopo decenni di colpevole disinteresse».

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articolo precedente

Salute: Navazio (ANMCO), ‘‘Valori di colesterolo cambiano da persona a persona’

Articolo successivo

Ipercolesterolemia: Folco (FIPC),’Ognuno è responsabile della propria salute’

0  0,00